Le suggestioni letterarie hanno la capacità di rendere vivide le immagini dei nostri sentimenti e delle nostre percezioni, conducendoci in quei luoghi mentali, visibili solo con gli occhi del pensiero e della fantasia, dove prendono vita mondi e scene apparentemente lontani e ineffabili, mediati dall’interiorità di ciascuno. Spazi che abbiamo avvertito nostri, perché visitati in solitudine col potere evocativo delle parole contenute in un romanzo o in una poesia, possono rivelarsi esistenti quando ci si confronta con la realtà: ambienti naturali e scenografie appaiono non più fittizie ma riconoscibili nei propri tratti peculiari. Il raffinato e magico gioco della letteratura soffia in luoghi particolari ed unici, nei quali l’ispirazione di anime artistiche ha colto il suggerimento ad esprimersi rendendo immortali realtà comuni quali case, strade, boschi, campi, monti e paesi che sembrano volersi raccontare attraverso la penna degli autori. Trame di un vissuto romanzato che intrecciano storia, cultura e ambienti concreti di una comunità la cui chiave d’accesso è la letteratura stessa, capace di impreziosire l’esistente con la raffinatezza delle sue descrizioni e con l’emozionalità che ne consegue.

 

”Ed ecco il cono verde e bianco del monte di Galte solcato da ombre e da strisce di sole, e ai suoi piedi il paese che pare composto dei soli ruderi dell’antica città romana”. Il paesaggio che incornicia Galtellì è ancora questo, inalterato nella sua bellezza naturale e traboccante di storia e di un antico che perdura nel tempo. Borgo di epoca medioevale, custodito dalla presenza protettiva del Monte Tuttavista che domina sull’abitato, questo piccolo paese vive nel mondo reale ma anche in quello più raffinato della letteratura, reso celebre dall’arte di Grazia Deledda che scelse di eleggerlo luogo d’ambientazione del suo Canne al vento. E attraverso l’opera della scrittrice nuorese è possibile tracciare, tra le vie acciottolate di Galtellì, un insolito itinerario, fisico e letterario, alla scoperta di quegli spazi che fanno da sfondo alle vicende del romanzo.

 

Un circuito definito da Stanislao Nievo ”Parco Letterario”, vanto e ricchezza per questo paese le cui immagini, ambienti, sapori e stati d’animo sono immutati, a portata di mano per chi li voglia conoscere e apprezzare oggi come ieri.

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”La vera capitale… non era allora Nuoro, era Galtellì, il paesetto della Baronia lungo il Cedrino, appena arretrato dal mare. Ne rimane traccia nel titolo della diocesi, che non è di Nuoro, ma di Galtellì e Nuoro, e Galtellì prima di Nuoro”, racconta Salvatore Satta  (Il Giorno del Giudizio), fornendoci interessanti indicazioni storiche e geografiche su questo centro così tenuto in considerazione dai letterati. Ubicato nella zona nord-orientale della Sardegna, a circa 9 km dallo splendido golfo di Orosei, Galtellì gode di una posizione favorevole in quanto può vantarsi sia della vicinanza con il mare che con la montagna, elementi preziosi ai fini di un’offerta turistica varia e diversificata, capace di puntare su ogni aspetto peculiare del territorio e di accontentare tutti.

 

L’ambiente è caratterizzato da una grande varietà geologica e regala paesaggi molto suggestivi, nei quali sono presenti specie preziose e rare di orchidee endemiche e particolari esemplari della fauna sarda. I siti archeologici presenti impreziosiscono la bellezza del paesaggio senza denaturarlo e contribuiscono a creare una singolare atmosfera di fascino e mistero, in cui il tempo sembra essersi fermato. Nei dintorni del paese ”vedonsi scavate nella rupe molte di quelle cavernette, dove in antichissimi tempi si solevano conservare i cadaveri. Sono dette concas de ianas, formate così come quelle che trovansi in altre regioni, e le più comunicanti per piccole finestre con altre più interne”. Vittorio Angius scriveva queste annotazioni intorno alla metà dell’Ottocento, segnalando nel territorio di Galtellì la presenza di un numero elevato di domus de janas, ben 24 secondo il recente censimento, che documentano di presenze umane in queste zone fin da epoche remote, a beneficio di un patrimonio archeologico che consta anche di dolmen e allées couvertes, di menhir, protonuraghi e nuraghi, tombe dei giganti e fonti sacre nuragiche.

 

Una ricchezza di testimonianze che vanno dal Neolitico Recente all’età del Bronzo, e continuano anche in epoca romana, della quale rimangono i resti di alcuni antichi insediamenti. Ma fu soprattutto il Medioevo il periodo nel quale Galtellì acquistò un ruolo storico di grande importanza. Venne infatti investito di poteri civili e militari in quanto divenne sede della curatoria giudicale, ancora testimoniata dalle fascinose rovine del castello di Pontes ”che vedesi più volte menzionato nella storia della Gallura” (V. Angius). Inoltre, sino al 1495, Galtellì fu sede di diocesi, acquisendo controllo del territorio anche dal punto di vista religioso. ”…All’ombra del monte tra siepi di rovi e di euforbie, [si trovano] gli avanzi di un antico cimitero e la basilica romana in rovina” (G. Deledda), ossia la cattedrale di San Pietro in cui risiedeva il vescovo, risalente all’XI-XII secolo ed ancora ammirabile nella periferia orientale dell’abitato.

 

Architettura e storia, arte e sacro, realtà e letteratura sono binomi fondamentali nel racconto di Galtellì, i cui continui richiami sono facilmente percepibili e godibili per chi attraversa le vie del paese facendosi guidare dall’emotività e dall’immaginazione. Lasciandosi alle spalle la strada principale e procedendo con curiosità lungo i piccoli sentieri in selciato che conducono al centro storico, compare dinanzi agli occhi un mondo lontano e immobile, il cuore antico di Galtellì che conserva ancora le case di un tempo dalla caratteristica architettura rurale. ”…Subito dietro lo spiazzo biancheggiava…simile a una abitazione moresca, con porte ad arco, logge in muratura, finestre a mezza luna, la casa di Don Pedru..” (G. Deledda), rimasta immune alle lusinghe della modernità ed ancorafacilmente identificabile per chi percorre il vico Cagliari.

 

Portali semplici o decorati, tetti a doppio spiovente, palazzotti di famiglie benestanti dai colori tenui e dimore povere eppure incantevoli, non deturpate dal nuovo, si affacciano lungo stradine tortuose e silenziose, dove l’antico persiste e l’atmosfera dei tempi andati sembra non essersi mai esaurita. Questo spettacolo a cielo aperto si deve all’impegno profuso da Galtellì nella preservazione dei beni del suo vecchio abitato. Nel percorrerlo ed ammirarlo, giocando un po’ di fantasia e suggestione, ci si aspetta quasi di veder comparire da un momento all’altro quelle mitiche figure di una volta, magari gli stessi protagonisti delle vicende narrate dalla Deledda, sopravvissuti misteriosamente nei luoghi dai quali hanno preso vita.

 

Uno dei gioielli del centro storico è sa domo ’e sos Marras, antica struttura settecentesca padronale con un ampio cortile, attuale sede del museo etnografico. Al suo interno sono raccontate la cultura materiale, la vita e l’economia del passato di Galtellì, in un percorso di ambienti antichi dedicati ai mestieri del passato che espongono reperti ed oggetti tradizionali del mondo contadino e pastorale.

 

”Il nostro paese deve molto alle intuizioni lungimiranti che ebbero già alla fine degli anni Settanta le precedenti amministrazioni comunali – spiega Renzo Soro, sindaco di Galtellì –. Ancor prima che venisse approvata la legge 29/98 – dice – il paese aveva cominciato un lento ma efficace processo di recupero e salvaguardia dei suoi tesori, a partire da quelli dell’anima deleddiana, tutti ben riconoscibili: la dimora delle dame Pintor, quella di Don Predu, il pozzo”. Un percorso che ha bisogno di tempi lunghi per essere metabolizzato dalla popolazione ma produce effetti positivi nel corso degli anni. ”Abbiamo investito e stiamo investendo molto sulla cultura e sull’educazione ad essa – osserva il sindaco Soro – perché crediamo fermamente nella sua importanza e nelle positive ricadute che avrà sul paese anche in termini economici”.

 

Galtellì è un centro che non ha mai avuto una forte tradizione pastorale ma, da sempre dedito all’agricoltura, è riuscito negli ultimi anni a riconvertire le sue principali attività con un processo di trasformazione oggi leggibile, evidenziato dall’aumento della popolazione e dalla stabilità economica raggiunta, nonostante il persistere di alcuni problemi. Negli ultimi dieci anni si è infatti invertita la tendenza negativa che gravava sul paese. ”Attualmente il settore trainante è quello edilizio, frutto di un notevole adeguamento da parte della popolazione alle nuove richieste del mercato. La vicinanza con il mare e la conseguente esigenza di costruire strutture ricettive per accogliere il numero in crescita dei villeggianti ha dato stimolo a questa attività, curata in tutti i suoi aspetti”.

 

I galtellinesi sono persone da sempre molto laboriose ed attente, oltre che estremamente generose ed ospitali. Alcuni di essi lavorano ad Orosei, che grazie alle cave di marmo ed all’offerta turistica propone diverse possibilità di lavoro. ”Negli ultimi anni sono sorte a Galtellì piccole imprese di costruzione ed una cooperativa di calcestruzzo”, aggiunge il primo cittadino. Il settore inerte, specialmente nel bacino del Cedrino, ha avuto un impulso notevole: sono sorti infatti impianti di lavorazione della sabbia e del cemento. Nel territorio si sono sviluppate attività sericole e di produzione di sementi per ortaggi, ed è sorta anche una cooperativa di viticoltori”.

 

 Molti investimenti sono stati fatti anche nel settore gastronomico, che propone al pubblico la bontà dei prodotti locali quali dolci tipici, vini, formaggi e su pane carasatu. Non mancano poi le attività artigianali, che vanno dalla lavorazione del tappeto sardo a quella dei cestini e delle stuoie realizzati con materiale vegetale locale. Il sindaco sottolinea inoltre il rapporto di odio-amore tra la popolazione di Galtellì e il vicino Cedrino, i cui umori da sempre hanno condizionato l’esistenza del paese: ”odio dovuto alle inondazioni frequenti, specialmente nel passato, ed alla loro furia devastatrice –spiega Soro–. Amore invece per le possibilità offerta dalla presenza dell’acqua, speranza per i terreni e per la resa delle attività agricole ma anche per i pescatori di fiume, e risorsa per le donne che sin dall’antichità vi si recavano per lavare i panni”.

 

Il legame con le tradizioni locali é molto vivo a Galtellì e si manifesta in particolare in occasione delle feste religiose e delle sagre. Momento culmine di questa religiosità è rappresentata dalla Settimana Santa, che conserva canti rituali e pratiche devozionali secolari, coordinate da due delle confraternite più antiche dell’isola: quella di Santa Croce e quella delle Anime, risalenti al 1600. Tra le cerimonie maggiormente toccanti vi è quella del giovedì Santo che, secondo un tradizionale protocollo molto severo, prevede la preparazione di una cena tipica alla quale non può partecipare nessuno se non i membri stessi delle confraternite, gli uomini separati dalle donne. Durante questa cena vengono servite delle curiose pietanze, come la minestra di anguille e le trote fritte, e dei dolci particolari, sos cocorrois, fatti con farina e vincotto. Altro momento di grande commozione è quello domenicale di S’ Incontru.

 

La grande fede religiosa di questo paese, probabilmente rafforzatasi storicamente per la presenza della sede diocesana, trova riscontro anche nelle numerose manifestazioni artistiche di grande pregio e valore che è possibile ammirare visitando Galtellì. Un vero e proprio tesoro costituito da argenti, tessuti e sculture. Prima a mostrarsi ai visitatori è la statua bronzea del Cristo posto in cima al monte Tuttavista, realizzata dall’artista spagnolo Pedro Terron Manrique. La cattedrale di San Pietro conserva al suo interno dei bellissimi affreschi medioevali, scoperti di recente, che propongono scene del Vecchio e del Nuovo Testamento. Nella chiesa parrocchiale sono racchiuse numerose opere in legno policromo, come quella del Cristo Crocifisso, in stile gotico-toscano, risalente ai primi del XV secolo.

 

La leggenda narra che tale statua venne ritrovata sulla riva del mare e trasportata su un carro a buoi che, arrivato presso Galtellì, si fermò ponendo fine al suo tragitto. Ad essa sono attribuiti eventi miracolosi, tanto che la chiesa è divenuta meta di pellegrinaggi da ogni parte dell’isola. All’interno della parrocchia troviamo inoltre diverse sculture di bottega campana, l’antico organo a canne datato 1729, la statua della Trinità in legno policromo della fine del XVI secolo, tutti piccoli assaggi di una produzione artistica copiosa, analizzata dagli studiosi e oggetto di alcune interessanti pubblicazioni. ”Le attività culturali hanno un peso notevole nella vita della nostra comunità – racconta ancora il sindaco – perché il paese è una miniera di ricchezze ambientali, architettoniche, archeologiche e artistiche, e tutto questo valore necessita di essere sostenuto”. A tal fine vi sono due guide turistiche che conducono i visitatori lungo l’itinerario di scoperta dei tesori galtellinesi, dal parco letterario, al museo etnografico, alle chiese. ”Il calendario estivo di Galtellì è denso di appuntamenti – spiega ancora Renzo Soro –. Tra i tanti la festa dell’emigrato, incontro immancabile da ormai vent’anni, e quella dell’antico borgo, che mira a valorizzare il centro storico rendendolo luogo principe, possibile sede di esercizi commerciali e di botteghe artigianali come le altre zone moderne o periferiche di Galtellì”.

 

Paese attento al passato, capace però di distinguere tra il buono che merita di essere preservato e ricordato con onore e ciò che buono non è: legittimo da conoscere ma non certamente degno di essere celebrato, Galtellì si è mosso con decisione in questi ultimi giorni per eliminare tutti i nomi delle vie e delle piazze dedicate ai Savoia. Un segno di onestà e di rispetto verso se stessi, in un paese che conosce bene dignità e sacrificio.

 

”Siamo proprio come canne al vento, donna Ester mia… Siamo canne, e la sorte è il vento!” scriveva Grazia Deledda nel suo premiato romanzo, affidando al destino le vicende terrene, senza possibilità alcuna per l’uomo di opporsi ad esso e di mutarne il corso degli eventi. Una concezione forte dell’esistenza, inserita nelle vicende di un paese che lei ha saputo descrivere con delicatezza e realismo, fermandone tra le pagine della letteratura il volto e l’anima. E quella Galte deleddiana, con la volontà e l’impegno dei suoi abitanti, ha saputo nel tempo vincere e ribaltare questa teoria fatalista, rinnovando la propria economia e puntando tutto sul valore della propria identità, che lei stessa ha celebrato nella sua opera immortalandola.