Ci sono persone comuni che grazie alla forza dell’intelletto e alla passione per la cultura, unite ad una particolare indole naturale, hanno lasciato dietro di sé echi mai sopiti di ammirevoli consensi e riconoscimenti, che nulla hanno di comune.

 

Echi che risuonano nelle enciclopedie, nei libri degli studiosi, nei convegni di specialisti ed appassionati e ancora sostengono e caratterizzano il percorso di una comunità che ha dato i natali ad un personaggio singolare che, a sua volta, ha saputo generosamente ridare vita e valore al proprio paese. È questo il motivo per il quale non si può raccontare Ploaghe senza parlare di Giovanni Spano, e non si possono delineare i tratti caratteristici della figura del Canonico ploaghese trascurando il suo luogo natio, alla cui anima ha saputo dare linfa, accrescendone sensibilità e pregio.

 

”Custu vocabolariu sardu ad tie, o dilecta patria mia, cum affectu su plus vivu consacro. Tue conservesti in bucca de sos fizos unu thesoro monumentale qui hat a durare plus de sos ciclopicos nuraghes qui sos primos habitadores tuos costruesint: cuddu, passende sos mares, in sas cultas e lontanas nationes det esser in pretiu, mentre custos in sa superficie tua restrintos maraviza dente formare”(Vocabolariu Sardu- Italianu).

 

Una dedica affettuosa e partecipata ed allo stesso tempo imponente, dai toni forti e quasi sacrali, indirizzata a quella patria diletta che è, prima tra tutte, la sua Ploaghe, ma abbraccia senza misure la Sardegna intera, e ne fissa la propria eredità: lo straordinario tesoro della nostra lingua madre, il sardo, e quello artistico dell’archeologia, capaci, insieme, di contenere e raccontare la storia di un popolo.

 

E Ploaghe negli anni ha saputo ben accogliere e custodire questo abbondante lascito culturale, fatto di parole, orali e scritte, e scolpito nella pietra, quella dei numerosi nuraghi, delle muraglie megalitiche e delle antiche chiese, disseminate all’interno e all’esterno dell’abitato: un patrimonio di grande valore artistico e monumentale che caratterizza il paese e ne sancisce l’unicità.

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Incastonato tra le storiche zone del Logudoro e del Meilogu, il territorio di Ploaghe è costituito da un paesaggio vario che comprende monti, altipiani, boschi, colline, pianure e vulcani spenti. Questi ultimi in particolare connotano la zona e, con le loro eruzioni, hanno dato vita in passato a suggestive muraglie naturali che sembrano cingere e delimitare i territori del paese.

 

E proprio ai piedi del Monte San Matteo, uno tra gli ultimi vulcani a cessare l’attività nell’intera Isola, sorge l’abitato di Ploaghe, secolare custode di tanti importanti tesori del passato: monumenti preistorici, architetture medioevali, pitture rinascimentali, grandi biografie di intellettuali di notevole levatura, un tradizionale e caratteristico folclore religioso, attestazioni linguistiche e documentazioni di inestimabile valore umano e culturale. Un patrimonio così ingente contenuto tra le braccia di una piccola comunità, da cinquemila anni dedita ad attività agro-pastorali, da sempre favorite dall’abbondanza di pascoli in un territorio mantenutosi quasi completamente integro nei suoi paesaggi.

 

Particolare attenzione merita la storia legata al nome di questo centro, che ha subito un’interessante evoluzione attestata, sin dai primi secoli dell’anno mille, in documenti di notevole importanza storica. Nel Condaghe di San Pietro di Silki (1100/1200) il paese viene chiamato Plouake e Plouaki, nel Condaghe di San Michele di Salvennor (traduzione spagnola del Seicento) si trova il toponimo Ploague.

 

I documenti amministrativi parrocchiali del 1500/1700 attestano le forme Ploague e Pioague, in quelli comunali di fine 1700 troviamo solo il termine Ploague. Nel lessico ecclesiastico dello stesso periodo si riscontra il nome Plovaca e solo nei primi dell’ottocento si arriva definitivamente alla forma Ploaghe, presente in tutte le documentazioni. Questo ricco percorso della toponomastica riflette con chiarezza la vivacità storica del paese, che vanta un passato denso di avvenimenti fin dalla preistoria, di cui rimangono numerose attestazioni.

 

Sono 48 i monumenti risalenti al Neolitico recente, comprendenti 15 domus de janas, un dolmen e tracce di insediamenti di tipo abitativo. La civiltà nuragica, estremamente fiorente, è testimoniata da 3 tombe dei giganti, una fonte sacra, diverse tracce di capanne e recinti ed un prolifico censimento che conta ben 80 nuraghi. Uno tra tutti, il Nuraghe Attentu, è degno di nota per essere stato, nell’ottocento, oggetto di scavi da parte del Canonico Spano.

 

Raffinate architetture romaniche si stagliano solenni e silenziose intorno alle campagne di Ploaghe, lungo un itinerario ideale di sapore medioevale che esibisce lo splendore delle chiese di San Sebastiano, di Sant’Antonio Abate e di San Antimo ed infine l’abbazia di San Michele di Salvennor. È questa a dare nome al condaghe in essa pervenuto, un prezioso documento giuridico e linguistico che prova la grande vitalità del territorio in epoca giudicale.

 

Ploaghe fu infatti sede vescovile dal 1090 al 1503, capoluogo della Curatoria di Figulinas nel Giudicato di Torres ed infine centro di potere baronale in età moderna, fino al 1839. Anche all’interno dell’abitato si conservano i segni di questo decoroso passato, che regala ai visitatori l’inaspettato spettacolo del complesso delle tre chiese, unico caso in Sardegna, posto nell’ampia piazza centrale del paese. Uno spazio molto importante per Ploaghe non solo perché cuore della comunità, luogo di incontri e di scambi, ma soprattutto per l’abbondante patrimonio culturale e artistico in essa concentrato.

 

Sulla piazza si affacciano la bella chiesa parrocchiale di San Pietro Apostolo, che fu sede vescovile, l’Oratorio del Rosario, che ospita la Pinacoteca donata al paese dal canonico Giovanni Spano, contenente importanti espressioni pittoriche del sei, sette e ottocento ed infine l’Oratorio di Santa Croce. Piccolo gioiello tra tanti beni di grande valore è il camposanto vecchio, il più antico e forse il più bello della Sardegna, secondo quanto sosteneva il La Marmora. Anch’esso collocato sul Cortile de Cheja, a braccetto tra l’Oratorio del Rosario e la chiesa di San Pietro, conserva al suo interno epitaffi scritti in lingua logudorese che raccontano brevemente la storia di ciascun defunto. La prima iscrizione, risalente all’11 aprile del 1844, ricorda Iohnmaria Ispanu Lizos di 93 anni ”massaiu bene costumadu, pacificu, laboriosu et iustu”.

 

Di fronte al complesso delle tre chiese sorge anche il palazzo municipale, ospitato nell’edificio che fu sede del Monte Granatico. Per apprezzare le restanti chiese è necessario spingersi lungo le strade più interne dell’abitato, strette ed intricate, su cui si affacciano file serrate di case che hanno mantenuto in vita alcuni originali peculiarità, pur lasciando spazio a costruzioni di nuova edificazione.

 

Caratteristica la presenza di targhette indicanti in sardo l’antico nome delle vie, un segnale positivo di riscoperta del passato che non esclude dalla storia la lingua, ma anzi se ne serve per valorizzarsi e per valorizzare. San Matteo, San Timoteo, Sant’Antonio con il suo convento e Valverde, sono ulteriori attestazioni architettoniche del percorso storico di un paese fortemente influenzato dall’istituzione ecclesiastica e connotato da una religiosità molto sentita, che caratterizza la società ploaghese e la sua vita.

 

L’intero anno è infatti scandito da diverse ricorrenze e festività, che culminano durante il Ferragosto nella tradizionale e suggestiva ”essida” dei due Candelieri. Questi, a differenza di quanto avviene a Sassari e a Nulvi, sfilano non in un’unica occasione ma in due: nel giorno del Corpus Domini e successivamente il 15 agosto, con relative ottave. Una particolarità tutta ploaghese che rende unica quest’antica ricorrenza, risalente al 1580, e fonde fede e folclore in uno spettacolo affascinante che emoziona gli abitanti e coinvolge con curiosità un discreto numero di turisti.

 

”Ploaghe è un piccolo comune che gode di un’importante posizione baricentrica – racconta il primo cittadino Francesco Baule-. Negli ultimi anni il paese ha conosciuto un lieve fenomeno di inurbamento, dettato dalla comoda vicinanza con la città di Sassari unita ad una offerta apprezzata dei servizi locali. Lo sviluppo dei rapporti umano è più semplice – dice il sindaco – poiché agevolato dal numero contenuto degli abitanti, e gli accessibili costi degli affitti fanno si che Ploaghe venga scelto come luogo di residenza da una quantità sempre maggiore di persone”.

 

L’economia prevalente, da sempre agro-pastorale, si sta gradualmente trasformando, provata da un momento forte di crisi. ”Attualmente è il terziario il settore che impiega gran parte dei ploaghesi, – spiega Baule- molti dei quali lavorano a Sassari. Nel paese è vivace l’attività commerciale e artigiana, specialmente di tipo tradizionale ma anche legata all’edilizia”.

 

Dati significativi sono sicuramente quelli che rilevano l’assenza di gravi problemi sociali ed evidenziano la presenza di un elevata percentuale di popolazione giovanile, un segno estremamente positivo in un periodo nel quale i piccoli centri isolani sono vittima dei flussi migratori dei ragazzi. I servizi offerti a questa fascia di popolazione sono numerosi: la biblioteca, il centro culturale e di aggregazione sociale, gli impianti sportivi ( la piscina, il palazzetto dello sport, i campi da tennis e di calcetto). È in fase di progettazione anche un campo di atletica per poter ospitare la società di Ploaghe, una tra le migliori in Sardegna. Un ulteriore carattere distintivo del paese è dato poi dall’associazionismo.

 

”Sono circa trenta le associazioni in attività – spiega il sindaco – in diversi settori. Tra queste e l’amministrazione locale si è instaurato un buon rapporto di intesa, specialmente per la realizzazione di manifestazioni”. Il Comune di Ploaghe coopera inoltre con gli altri Comuni del territorio portando avanti un importante lavoro di progettazione integrata.

 

Scopo dell’azione è quello di valorizzare i beni culturali e paesaggistici presenti in quest’area, creando nuove occasioni di occupazione e di integrazione del reddito e introducendo tra i servizi proposti l’offerta turistica, con itinerari alternativi che avvicinino i visitatori all’interno della Sardegna ed alla scoperta dei suoi paesi. E Ploaghe ben si presta a rendere merito a questo ambizioso progetto. Le pietre dei nuraghi, delle chiese, delle case, degli ovili, sono interlocutori di un presente che è chiamato a mantenere in vita la memoria di una comunità, tenendo in piedi quel ponte di continuità con il passato, ripercorribile nei suoi lasciti.

 

Un insegnamento che Giovanni Spano per primo aveva appreso, lasciandolo in dono ai suoi compaesani. Teologo, archeologo, antropologo, linguista, egli è il più illustre dei ploaghesi. Il suo lascito, spirituale e materiale, costituisce un patrimonio di elevato valore culturale, di lustro per il paese di Ploaghe e per la Sardegna intera che da sempre gli conferiscono grandi onori e riconoscimenti.

 

A noi tutti lo Spano rivolgeva con fiducia e speranza un’esortazione. Un monito che arriva dal passato per ricordarci chi siamo e quanto abbiamo ricevuto, invitandoci a far fruttare questa straordinaria eredità: ”concurrant sos presentes et posteros ad accreschere cum sas forzas ipsoro su fertilissimu campu qui hereditesint”.