In tanti luoghi d’Italia e del mondo esistono artigiani capaci che svolgono la propria attività dedicandosi  al ferro battuto. Con mani pazienti e sensibili perpetuano talvolta tradizioni familiari o di parentela, magari evolvendo la tecnica a seconda dei progressi che offre la modernità.

Ci s’imbatte quindi in oggetti e manufatti che sembrano provenire da tempi lontani ma che sono fatti oggi, e che denotano la maestria dei rispettivi autori.

Ma un artigiano che si limita a ripetere, anzi a riprodurre, oggetti già mille volte creati da altri prima di lui, per bravo che sia, sarà sempre un artigiano.

Se per caso invece si usa anche la mente si è bravi artigiani, e se si mette anche il cuore e la creatività, stiamo parlando di arte, vera arte, come quella di  Roberto Ziranu.

Roberto Ziranu ha una storia per certi aspetti “normale”, nel senso che segue una strada forse scontata, tracciata da padri e nonni che in cinque generazioni hanno modellato il metallo ferroso. Il fabbro era forse il cammino scritto nel libro del destino, per Roberto. Il ferro battuto e le produzioni artigianali ad esso correlate hanno un loro mercato, se le mani sono virtuose. I balconi e i letti, le ringhiere e le recinzioni, sono molto ricercate sia nei nostri antichi paesi, sia nelle località turistiche della Sardegna, più o meno rinomate. Chi ha dei numeri dalla lavorazione del ferro “campat sa famiglia”, produce un buon reddito, in linea di massima, e Roberto Ziranu non sfugge a tale regola.

Sarebbe però un grande torto limitarci a ciò, parlando di questo vulcanico personaggio barbaricino schietto e tenace.

Il ferro con Roberto vive una vita nuova, perché il ferro diventa materia viva, ardente come il fuoco grazie al quale lo piega e lo sagoma a suo piacimento.

Il duro ferro sembra un fuscello di canna, leggero ed elegante, piegato e plasmato dal vento che deforma i panorami e i profili dei graniti. Guardi una creazione di Ziranu e intuisci un mare inquieto che insidia una vela rigonfia, immagini un altopiano esposto coperto da arbusti che disperati si attorcigliano ad una roccia, scheletri lignei che lottano per una improbabile e insospettabile sopravvivenza.

Una zappa recuperata in qualche anfratto polveroso della memoria diventa un prezioso e lucente oggetto artistico, un fossile legnoso diventa la barca per una lucina, sinuosa ed elegante vela metallica che osa avventurarsi nei nostri mari ventosi, una misera e insignificante lamiera diventa uno scudo che ricorda antichi e battaglieri popoli delle montagne, o un pannello in cui vedi una figura muliebre immobile.

In tutto ciò capisci il ruolo del fuoco e capisci perché la manualità di Roberto diventa “arte” a tutto tondo, senza il più minimo dubbio. Il fuoco, usato con segreta maestria da Roberto, da forma, lucentezza, specularità, tonalità cromatica, eleganza.

Volendo fare una sintesi che renda almeno parzialmente onore all’ opera di Roberto, seguendo  un percorso originale e molto interessante, si può affermare che  riesce a rappresentare, pur risultando in realtà molto moderno, una Sardegna che guarda avanti sapendosi guardare indietro.

Mi viene spontaneo suggellare questa scarna presentazione che spero sia degna dell’ artista in questione, con alcuni versi composti alcuni anni fa e che, a mio avviso, sono molto calzanti.

 

Ma coimente si faet

a immentigae totu,

finas a oe, su chi ch’est istau?

Fortzis non nosi praghet,

de su chi aus connotu,

nudda chi potzat esser ammentau?

Epuru ddu at cosas

chi depeus chistie, valorosas.

 

Tristu s’omine chi

non cheret abbadiae

a segus suo po sighie a andae…

 

Ma come si fa a dimenticare il nostro passato? Forse non ci piace e non merita di essere ricordato niente di ciò che abbiamo conosciuto? Eppure ci sono cose che dobbiamo gelosamente conservare.

Misero l’uomo che non vuole si vuole guardare indietro, per andare avanti…