Tutte le civiltà sviluppatesi sul pianeta, sia quelle antiche che quelle moderne, hanno avuto la necessità di sfruttare la risorsa acqua per soddisfare le necessità primarie quali dissetarsi e sciacquarsi. L’impiego dell’acqua si è manifestato indispensabile anche per quelle attività, come irrigare i campi e dissetare il bestiame, non direttamente vitali ma che si ripercuotono, tramite l’alimentazione, sul sostentamento umano. Appare scontato quindi che, per lo sviluppo della civiltà in Sardegna, anche i nostri antenati abbiano fatto largo uso di questa preziosissima risorsa sfruttandola in molteplici forme e modi. A partire dal Neolitico – ma sicuramente anche durante il Paleolitico – l’uomo sardo ha modificato il territorio circostante al fine di fruire della risorsa acqua. Purtroppo i ricercatori e gli studiosi non hanno dato pieno peso a questo fattore in quanto si sono concentrati nell’inquadrare la creazione e la fruizione dei pozzi al solo uso religioso, trascurando invece le semplici ed elementari necessità umane di sopravvivenza.

 

Gli antichi sardi invece hanno dimostrato di apprezzarne le qualità e di sfruttarne il potenziale canalizzandola in vari modi e plasmandone i corsi alle proprie esigenze. Ormai è riconosciuto che i nostri antenati costruissero pozzi sacri esteticamente elaborati come quello di Su Tempiesu a Orune o di Santa Cristina a Paulilatino, ma gli studi relativi sono sempre rimati legati alla loro funzione cultuale, trascurando il fatto che questi siti fossero vere e proprie meraviglie idrauliche. Sarebbe giusto riflettere invece sul fatto che -in pozzi come Santa Anastasia di Sardara oppure Predio Canopolo di Perfugas- l’acqua venisse canalizzata per diversi metri – secondo alcuni studi anche diverse centinaia di metri – al fine di concentrarne la fruizione in un particolare punto o anche incrementarne la portata. In altri contesti l’uso di lastre di piombo nei pozzi e nelle fonti migliorava la capacità di isolamento dei bacini e impediva il travaso laterale.

 

Se queste osservazioni possono sembrare banali bisogna sottolineare che diversi altri edifici, quali il Nuraghe Arrubiu di Orroli, indagati opportunamente, hanno mostrato sotto il pavimento dei cortili opere di canalizzazione create al fine di far defluire gli accumuli idrici spostandone la fruizione da un punto ad un altro. Ancora possiamo far notare che nella pavimentazione viaria di un isolato dell’abitato di Su Nuraxi di Barumini si scoprirono le tracce di un sistema di deflusso di acque reflue. Quelle accennate finora passerebbero per ovvietà di fronte alle considerazioni edilizie e idriche dell’antica Roma ma quello che si vuole sottolineare è che queste opere sono state create almeno trecento anni prima, se non più, della fondazione di Roma. Ma tra i contesti ancora sconosciuti, se non da esperti del settore, possiamo annoverare un piccolo gioiello dell’idraulica preistorica: l’acquedotto di Gruttiacqua, comune di Sant’Antioco, dove un sito preistorico -Gruttiacqua, appunto- vede lo sfruttamento di grotte naturali allo scopo di accumulare l’acqua da alcune falde acquifere. La bellezza di questo monumento è data dal fatto che in prossimità delle cavità naturali di accumulo gli antichi Sardi scavarono dei pozzi sistemandoli in cascata. In questo modo l’acqua di falda, colmando i pozzi, li avrebbe portati a tracimare riversandosi nella grotta posta a quota più bassa. A questo sistema i nostri progenitori vollero aggiungere dei condotti sotterranei, ora in parte percorribili solo nella stagione secca, in grado di collegare i pozzi con le cavità naturali sfruttando il principio dei vasi comunicanti. A perfezionare questo complicato sistema, i nuragici crearono dei canali di scolo in pietra, accuratamente studiati, al fine di convogliare nei pozzi le acque reflue di un altipiano, cercando così di concentrare la maggior quantità di acqua sia piovana che di falda.

 

L’eccezionalità della situazione si manifesta tale se si considera che questo avveniva circa quattromila anni prima della nascita di Cristo, come testimoniano i reperti e il fittile dell’area. Ma credo che gli elementi eccezionali di cui si deve tener conto nel considerare il grado di civiltà dei nostri antenati si concretizzino nei sistemi termali assai diffusi nei contesti nuragici seppur così poco apprezzati. Dalla rotonda di Su Nuraxi di Barumini, alla struttura di Sa Sedda Sos Carros di Oliena, ai principali bastioni nuragici, tutti vedono il sorgere, seppur nell’Età del Ferro (900 a. C.), dei bagni termali. Si tratta di camere che all’interno delle mura perimetrali accolgono delle canalette per la conduzione dell’acqua. La fuoriuscita del liquido avveniva attraverso doccioni con la testa di ariete in cui una piccola fessura, in luogo del muso, polverizzava il getto dell’acqua verso una vasca. La camera, di forma rotonda, aveva un sedile per gli avventori al margine dell’ambiente e al centro il posizionamento di una vasca per la raccolta dei getti d’acqua e una fessura per lo scarico del liquido in eccesso. Dalla vasca l’acqua arrivava, attraverso il sedile, ad una condotta sotterranea molto simile ad una rete fognaria e abbandonava l’insediamento. Tantissimi sono gli esempi, nella preistoria del Mediterraneo, a cui molti studiosi non sembrano mostrare tanta sensibilità, forse perché ancora non in grado di apprezzarne l’alta antichità, riportandone quindi l’origine solo all’epoca classica..

 

Riflettiamo un po’ di più su questi esempi e su molti altri non citabili per questioni di spazio: ne verrà fuori una diversa e più profonda considerazione sul livello civile degli antichi Sardi, ovvero quella di un popolo molto più materiale e con reali necessità vitali anziché con eccessi esclusivi di spiritualismo.