Nelle ricognizioni per l’Isola di Sant’Antioco alla scoperta di aree archeologiche, mi capitò di rinvenire simboli (fig. 1) che qualche studioso qualificò come triangolo apicato o anche daleth. Barreca definì il segno, sistemato sulla roccia sacra del tophet di Sulci, come la variante sarda del simbolo religioso cartaginese della Dea Tanit. Sono riuscito a scoprire altri otto simboli simili sparsi per l’Isola, incisi su cime particolari o su macigni dei paramenti murari di alcuni nuraghi. La mia abitudine di fotografare e documentare tutto mi permise di memorizzare la collocazione dei segni e di tenerli sotto controllo. Studiando e visitando le aree archeologiche sarde ho visto, riprodotti nella ceramica (fig. 2) o scolpiti nella roccia, simboli molto simili.

 

Trovare spesso macigni, in aree archeologiche di epoca nuragica, segnati in varie forme dall’uomo, mi fece pensare che i nuragici sapessero scrivere. Presi in mano il mio bel manuale di iscrizioni e cercai riscontri ai simboli rinvenuti. Il manuale  di epigrafia fenicia e punica, non soddisfece l’accostamento, anzi non fece che alimentare un’idea di incomprensione verso un alfabeto, quello qualificato come fenicio, che variava graficamente da località a località.

 

Il complesso di segni varia, come è naturale, da Oriente a Occidente nel Mediterraneo, ma anche all’interno della Sardegna. Tale osservazione mi portò a considerare che, a differenza di quelli che vedono alfabeto e scrittura provenire da Oriente, questi abbiano avuto origine da noi e siano stati elaborati contemporaneamente e indipendentemente da Surcitani, Norensi, Bithiensi e Tharrensi.

 

A sostenere l’ipotesi giunse l’elaborazione del professor Gigi Sanna, relativa al frammento ceramico di Nora, considerato dell’XI sec. a.C. quindi molto più antico delle testimonianze scritte del Levante. Il manuale delle iscrizioni mi suggerì forme grafiche definite proto sinaitiche o anche proto cananaiche databili attorno al XVI sec. a. C., ma se diverse forme grafiche poterono anche coincidere, la rappresentazione del Daleth (D) non soddisfece le aspettative.

 

In quel momento, ebbi la sorpresa di imbattermi nei risultati del Western Sahara Project, una ricerca interdisciplinare relativa ai processi culturali e archeologici del Western Africa. Secondo Erodoto gli abitanti di questa regione furono i Maxyes o anche Meshwesh, progenitori degli Imaziyen (Tuareg). Questa popolazione divide se stessa in due gruppi fondamentali: Mauri e Kabili, il che fece accendere in me una sorta di allarme visto che il campanilismo sardo ci ha portato finora a riconoscerci goliardicamente in Maurri e Gabilli.

 

Quello che mi colpì fu il complesso alfabetico caratterizzante il tifinagh – scrittura alfabetica limitata a usi molto ristretti: funerario, simbolico e ludico. Tramite l’analisi di questa simbologia risultarono, con precisi significati, tutti quei simboli ritrovati sui macigni e sulla ceramica in giro per la Sardegna, sinora senza senso. La soddisfazione maggiore venne quando rinvenni il sospirato triangolo apicato (yag), a cui il linguaggio tifinagh assegna il significato di “forza della natura”.

 

Sottoposi alla composizione tifinagh alcuni pezzi, tra cui un vaso proveniente da Su Mulinu di Villanovafranca (fig. 2): il simbolismo riprodotto indica il sole, la perpetua rinascita, la forza virile e la fecondazione. La pancia del vaso mostra tante caselle, scomponibili in tante lettere inquadrabili con precisione nell’insieme tifinagh, il cui significato generale tuttavia ancora mi sfugge. Tra gli insiemi grafici analizzati, da cui è possibile ottenere precisi significati, pongo persino la rappresentazione del “candelabro paleosardo” in bronzo, che mostra una particolare decorazione (fig. 3). Se letta sotto forma di frase, potrebbe essere qualificata come inno di lode che, azzardando un’elaborazione, parrebbe recitare così: Oh Dea Nutrice, bellezza e occhio di verità… acqua che genera il cielo e il creato.

 

La disamina tocca anche rappresentazioni grafiche quali quella rilevata su un vaso dell’acropoli di Lipari (Lip. 26), dove il tifinagh, a una coppia di segni cruciformi separati da un tratto verticale, traduce “tnt” ovvero “dire” “spiegare”. L’alfabeto risulta utile persino nella decifrazione del frammento epigrafico di Nora e riconducibile all’XI sec. a.C. Un’ultima disamina vorrei dedicarla al sigillo di Sant’Imbenia – Alghero, già elaborato da altri studiosi.

 

L’oggetto, che probabilmente riassume un titolo o il rango di un personaggio, evidenzia in sequenza da sinistra verso destra: iem, legatura di tegherit ieg, legatura di ien ieg, legatura di ien iet, tegherit, ieru, ied. La sequenza di interpretazione mostra: …Io sono il potente, creato dalla Grande Fecondatrice, il potente creato dalla Dea Nutrice, femmina dell’umanità. In diverse forme di Lineare, usate dai Phelesets-Cretesi, esistono tantissimi simboli utilizzati nel tifinagh di origine Meshwesh. Altra constatazione riguarda altri insiemi di simboli – alfabeto riscontrati in Canaan (argomento studiato dal prof. Gigi Sanna), nella penisola iberica e nella penisola italiana, che mostrano somiglianze col tifinagh.

 

Nel complesso di queste citazioni è doveroso segnalare persino le forme grafiche rinvenute nelle Eolie, riconducibili alla Sicilia del Bronzo Medio, per trovare similitudini con l’alfabeto tifinagh e avere un quadro d’unione preciso. Non intendo riscattare nessuna precedenza in favore del tifinagh, ma intendo far notare come tutti questi alfabeti, coincidenti nelle forme grafiche, caratterizzino la cultura materiale dei territori interessati. Osservati dal punto di vista antropico questi territori presentano una comune particolarità: sono stati popolati dalla Lega dei Popoli del Mare. Come ho ricostruito con l’opera “Il Popolo Shardana – La Cultura, la civiltà, le conquiste”, e sto elaborando in un nuovo testo, la Legamicenea agiva incisivamente sia sui propri componenti che sui territori toccati, portando tecnologia e cultura e traendo benefici al punto da poter affermare che i popoli interessati fossero legati da una vera e propria koiné.

 

Osservando i caratteri appena citati e tenendo presente le regioni di provenienza e i popoli che li hanno utilizzati possiamo constatare che queste forme grafiche molto simili se non identiche furono il comune denominatore, l’alfabeto delle etnie della Lega dei Popoli del Mare. Anche la recente elaborazione fatta dal prof. Giovanni Ugas e la sorprendente somiglianza tra le forme grafiche sarde e quelle precoci alfabetiche della Beozia e dell’Eubea, al pari di quelle etrusche, tocca regioni geografiche sviluppatesi sotto il governo dei Popoli del Mare (Orcomeno e Tebe furono fondate dagli Achei e fecero parte delle città micenee).

 

Gustave Glotz ipotizza che nel Mediterraneo del XV sec. a. C. regioni di Civiltà più o meno diverse si siano fuse in una civiltà comune dalla lingua pelasgica. Questa disamina, vista in modo macroscopico, va a toccare sia la forma amministrativa sia la cultura materiale sia la forma edilizia dei popoli suddetti, legati tra loro da una forma comune di culto, come quello della Dea Madre Mediterranea. Ribadendo che la mia analisi non mira a volgersi a un primato alfabetico, auspico una cooperazione con gli esperti degli altri caratteri al fine di formulare, seguendo il principio del simbolismo del tifinagh, l’interpretazione degli altri alfabeti affini e la riscoperta degli arcaici testi di tanti manufatti tra cui quelli scritti dai sardi.