Marco Conti  è nato a Quartu Sant’Elena (CA) nel 1985. Il suo esordio letterario è stato nel 2011 con Dalle ceneri della fenice, un romanzo di rinascita e speranza. Nel 2013 ha pubblicato Tempi sospesi,  e l’anno successivo Sul confine, una forte e cruda raccolta di dieci racconti di disperazione e solitudine. In questi giorni viene pubblicata la sua ultima opera letteraria Il violinista del diavolo, anch’essa una raccolta di racconti che colpiscono nel profondo e inducono il lettore a porsi molte domande sulla società odierna. Tutte le pubblicazioni a cura della casa editrice “Amicolibro”.

 

Nove racconti, duri, crudi che affondano come la lama di un coltello. Senza pietismo e retorica affronti temi difficili, scottanti e scomodi come l’eutanasia, il cyberbullismo, disabilità, suicidio. Racconti senza giudizi, ma vuoi spingere il lettore oltre i pregiudizi. Da cosa nasce questa esigenza?

Nasce dalla voglia di raccontare storie di persone reali, vere, che urlano silenziosamente accanto a noi, chiedendo solo di essere ascoltate. Ho deciso di portare alla luce la loro sofferenza e il loro disagio. E di porre l’accento, provando a suscitare riflessione, su alcune tematiche attuali e radicate nella nostra società. Racconto le mie storie senza cercare di impietosire il lettore, cosa che spesso avviene quando di scrive di sociale, ma di prenderlo a pugni nello stomaco provocando in lui angoscia, ansia, sensi di colpa, tristezza, senso di vuoto. Ma mai pena, perché io stesso non giudico e non provo pena per i miei personaggi, né sento l’esigenza di redimerli o di renderli più gradevoli. Io li racconto così come sono, porto alla luce le loro storie, senza giudizio né pregiudizio. Il mio vuol essere proprio un invito ad aprire gli occhi, creando nel lettore la consapevolezza che determinate tematiche possono essere molto vicine a lui, e che non vivono solo nei quotidiani o nei telegiornali.

 

Ripeti spesso “Dio o chi per lui”? E’ un messaggio di speranza verso tutti , anche per coloro che non trovano nelle preghiere un conforto?

No. E’ il gioco degli opposti. La contrapposizione tra il trillo tentatore del diavolo e un Dio, o chi per lui, distratto da mille impegni e cieco di fronte alle storie e ai personaggi che presento ai lettori. Un artificio letterario funzionale allo stile sperimentale che ho adottato e “metaforicamente” adatto al tipo di tematiche trattate.

 

Utilizzi un artificio stilistico all’inizio di ogni capitolo: accosti dei termini di diverso significato ma con suoni simili, come una paronomasia, in modo ritmico e cadenzato. Come mai?

Questo è stato un esperimento che mi ero messo in testa di provare e affinare. Molti mi hanno dato del pazzo quando ho provato a parlarne, ma mi affascinava l’idea di alternare la fase narrativa e descrittiva ad altre parti di “rap letterario”. Dopo i primi tentativi mi sembrava che questi accostamenti di termini apparentemente slegati, talvolta opposti, dessero un taglio particolare alla scrittura e che la migliorassero a livello di suono. Mi è piaciuto questo “artificio” e ho deciso di utilizzarlo in maniera più strutturata, dando alla luce questo stile per me nuovo con cui ho concepito e sviluppato quest’ultima raccolta di racconti.

 

Raccontaci qualcosa di Marco Conti e quanto la professione di assistente sociale, che svolgi ormai da anni, ha inciso sulla tua produzione letteraria.

Io sono un assistente sociale dal 2008. Ho lavorato quasi nove anni in una struttura per minori. Da quattro lavoro con la disabilità e i nuclei familiari, attualmente mi sto occupando di programmazione sociale. Insomma, nel corso degli anni ne ho viste di tutti i colori e di tutte le sfumature. Certe ferite me le sento sulla pelle e sento la necessità di disinfettarle attraverso la scrittura. La mia esperienza ha inciso molto sulla mia produzione letteraria, soprattutto nel “Violinista del diavolo”, dato che ho deciso di raccontare nove storie vere di degrado e disagio in cui mi sono imbattuto durante il mio percorso. La mia professione mi ha insegnato ad avere un atteggiamento non giudicante e questo si riflette anche sui miei personaggi, che non giudico mai, ma che racconto nelle loro debolezze e fragilità.

 

Per la narrazione ti affidi, con un lessico tagliente, graffiante, deciso e brutale,  alle short stories, brevi racconti. È una scelta stilistica inconsueta e impegnativa. Come mai?

La short story è un genere molto particolare, poco amato dagli editori. Io ne sono un grande amante, soprattutto da lettore. Credo dia la possibilità di incidere e graffiare il lettore in poche righe, una sorta di fotografia letteraria. Penso abbia una grande potenza comunicativa. Per quanto mi riguarda, ho virato verso questo genere e credo sia quello attraverso il quale riesco ad arrivare maggiormente al lettore e a “prenderlo a schiaffi” raccontandogli le mie storie di degrado ed emarginazione sociale.

 

Tu sei giovane, ma hai già all’attivo quattro romanzi. Che consiglio ti sentiresti di dare ai ragazzi aspiranti scrittori?

Sicuramente consiglierei loro di non smettere mai scrivere,ma di farlo per passione. Di restare umili e con i piedi per terra senza sentirsi mai arrivati. Di fare della modestia e della voglia di crescere e imparare le proprie armi migliori. E soprattutto di leggere e di sentirsi accaniti lettori prima che scrittori, perché la lettura è una delle maggiori occasioni di confronto e crescita, mentale, culturale e narrativa.

 

Che tipo di scrittore sei? Metodico o istintivo? Scrivi di getto o rifletti a lungo su ciò che ritieni più efficace per catturare il lettore?

Sono decisamente istintivo. Scrivo di getto assecondando la mia ispirazione e le mie idee. Ma mi annoio facilmente da un punto di vista narrativo, quindi, a mente lucida, provo a ricercare sempre modalità comunicative diverse e innovative, che possano essere stimolanti per me e per chi leggerà le mie storie.

 

Cosa significa per te aver ricevuto la frase di Pinketts? Come sei  entrato  in contatto con lui?

Per me è un grandissimo onore. Considero Andrea G. Pinketts uno dei più grandi scrittori di noir e il massimo esponente del racconto breve in Italia, quindi il fatto che abbia apprezzato la mia penna e abbia scelto di collaborare con me supervisionando i racconti e regalandomi due sue frasi mi lusinga e mi riempie di gioia. Quasi due anni or sono gli ho fatto avere una copia di “Sul confine” (la mia prima raccolta di short stories), lui ha accettato di leggerla e dopo qualche giorno mi ha comunicato di aver apprezzato il lavoro e mi ha invitato a Milano per una presentazione insieme. E da lì è data questa sorta di “collaborazione” che è continuata col “Il violinista del Diavolo”.

 

Che ne pensi dell’editoria a pagamento? Tu hai dovuto aspettare molto per essere pubblicato?

Io sono contrario, da un punto di vista etico, all’editoria a pagamento. La fatica che si cela dietro la stesura di un libro non può e non deve avere un costo. Per quanto mi riguarda la scrittura è una passione quindi non sarei disposto a pagare per vedere pubblicati i miei lavori. Ma non mi sento di condannare nemmeno chi si autopubblica o chi si rivolge ad agenzie a pagamento, vista la confusione, legata agli interessi economici, che vige oggi nel mondo editoriale. Occorrerebbe maggiore chiarezza e trasparenza da parte di tutti. In un mondo dove la meritocrazia è solo un utopia, un libro “free” non è necessariamente un buon libro e un libro auto pubblicato, allo stesso modo, non è di per sé un cattivo libro. Bisognerebbe imparare a leggere prima di giudicare e a valutare solo sulla base della prosa, dei contenuti e della capacità narrativa di ciascuno invece di soffermarsi sull’autore o sulla casa editrice.

 

Vuoi darci un consiglio di lettura?

Ultimamente sto leggendo Giorgio Scerbanenco, il padre del noir italiano. Una scrittura lineare, elegante ed incisiva. Grande capacità di tratteggiare i personaggi. Insomma, Venere privata o I milanesi ammazzano al sabato, non posso mancare nella propria biblioteca.