Come un impalpabile granello di sabbia disperso dal vento. Se n’è andato un poeta. Pàulu Mura, una delle stelle più fulgide della poesia dialettale campidanese, è morto a 62 anni. Un nome famoso fra gli improvvisatori che da oltre trent’anni si confrontano sui palchi del Sulcis e del Campidano. Faceva parte di quella ristretta aristocrazia di poeti che riuscivano a tenere sempre viva l’attenzione di migliaia di esperti e di appassionati di questa grande tradizione sarda. Non è facile rendergli omaggio senza correre il rischio di cadere nella retorica.

 

Pàulu Mura, come tutti gli artisti, aveva un carattere particolare. Un carattere molto forte. Era ambizioso, sicuro di sé e molto temuto durante le gare poetiche a causa del suo spirito mordace e delle “torradas” fulminanti. Si concedeva, molto spesso, delle licenze poetiche. Una scelta che non sminuiva la bellezza del canto. La sua carta vincente era però la voce: potente, limpida, decisa. Giocava col ritmo e ricorreva ad una nenia melodiosa che rendeva piacevole l’ascolto.

 

I suoi estimatori dicevano: “Annìnniat su mutetu” Ricordava alcuni grandi cantadoris del passato: Loni, Loddo, Broi, Ariu. Coloro che, in qualche modo, hanno influenzato la sua passione per la poesia campidanese. Pàulu Mura sin dall’adolescenza ascoltava attraverso le bobine di un vecchio registratore le tante gare che gli appassionati registravano nelle feste patronali in tutta la Sardegna. Ascoltava ed imparava. Qualche volta si cimentava, insieme ad alcuni anziani del paese, in cantadas casalinghe. Già da allora riceveva molti consensi. Sin quando qualcuno dei più esperti lo incoraggiò a salire sul palco per una gara con alcuni poeti già famosi.

 

Accadde trent’anni fa. In una vecchia intervista, rilasciata al sottoscritto e pubblicata su La Nuova Sardegna, qualche anno fa, descrisse l’emozione dell’esordio e ricordò tanti episodi della sua lunga ed incredibile carriera. Pàulu Mura non amava le mezze misure. Per lui “sa cantada” era una dura lotta e gli avversari tutti uguali. Nessuna soggezione nei confronti dei cosiddetti maestri, quei mostri sacri della poesia orale che riempivano le piazze di pubblico ed incutevano timore ai neofiti. Affrontava tutti ad armi pari e molto spesso usciva vincitore anche dalle gare più difficili. Il suo poetare non era fra i più colti, perché infarcito di neologismi linguistici e di licenze poetiche, ma era efficace. Sciabolate più che tocchi di fioretto. Il tutto impreziosito dalla sua incredibile voce e dalla capacità, quando veniva incaricato di argomentare per primo, di ricorrere a tremendi “finis” criptati, difficilissimi da svelare. Per questo piaceva alla gente ed i comitati facevano a gara per invitarlo alle sagre paesane. S’era fatto un nome. Le sue partecipazioni erano sempre più numerose, anche cinquanta all’anno. Eccelleva nelle gare ma non disdegnava il canto “a sa chitarrina” e le lunghe composizioni su luoghi ed episodi della nostra isola. Qualche anno fa, insieme ad altri cantadoris, scelse la strada delle gare di gruppo. Cioè quattro poeti si proponevano sempre insieme ai comitati ed agli organizzatori. Una sorta di cooperativa. Pàulu Mura si esibiva preferibilmente insieme a Pierpaolo Falqui, Salvatore Melis ed Emanuele Saba, accompagnati da Antonino Mei e Antonio Garau (basciu e contra). Una soluzione che a molti non piaceva perché, in qualche modo, la gara finiva per perdere gran parte del suo mordente.

 

Pàulu Mura ha continuato però il suo percorso sin quando i primi problemi di salute l’hanno costretto a ridurre la sua partecipazione alle manifestazioni poetiche. La lotta contro il male più subdolo è stata lunga ed estenuante. Pàulu s’è difeso ed ha attaccato. L’aiuto della poesia e della sua splendida famiglia sono stati determinanti per concedergli ancora molti anni di vita. Poi l’acuirsi del male non gli ha lasciato scampo. S’è spenta quella voce ma non il ricordo dell’uomo, dell’amico, del poeta. Tutto il paese e decine di cantadoris provenienti da tutta l’isola gli hanno reso l’estremo saluto. Qualcuno gli ha voluto dedicare pochi modesti versi:

 

 

Prima composizione

 

 

De Elicona patria stimada

As tentu in donu s’arti prus bella

Ses prangendi o Teulada:

sin d’est istudada sa mellus stella…

 

 

Seconda composizione

 

 

Candu fainti festa in Teulada

Bòganta a Isidoru Santu in prucessioni

Mùsica, ballus, fogus e sa cantada

Cun su pópulu tottu in devotzioni

Ma ocannu su coru nostu est in tristura

Ca non s’intendidi prus sa boxi tua

Nodìa. Immoi in su celu, o Pàulu Mura,

Canta de Deus sa mellus poesia.