Ciò che non si può spiegare con una dimostrazione non è credibile. È questa la legge che vige oggi, nell’era del mondo scientifico, che di fatto sopprime qualsiasi possibilità di interpretazione. Ma in un passato non troppo lontano la Sardegna era un insieme di gesti e rituali, preghiere e amuleti per scongiurare le disgrazie e le difficoltà quotidiane. Queste prassi, legate fortemente alla tradizione, sono state progressivamente nascoste da un velo di polvere man mano che l’uomo si è affidato ai metodi teorici e scientifici.

 

Ma come è stato sintetizzato nel libro Demoni, miti e riti della Sardegna, “una concezione diffusa ma errata vuole che esista soltanto ciò che la razionalità umana può concepire. A questa razionalità si dà il nome di scienza. Invece non è così: molte cose per noi inspiegabili sono comunque vere, reali, esistono”. Gli scettici potranno continuare a considerare magia tutto quello che non è scienza, ma quello che si può dar per certo e che progressivamente si sta cancellando la dimensione della cultura medica popolare sarda: mi riferisco a fenomeni come S’ogu malu (il Malocchio), o Is mazinas, da sempre presenti nella quotidianità dei sardi “del passato” e radicati nella nostra cultura popolare fino a pochi decenni fa.

 

In particolare, la potenza attribuita agli occhi ha destato in me un profondo interesse. Il malocchio in Sardegna, secondo l’immaginario collettivo di un tempo, era la conseguenza di un desiderio: questo sentimento intenso lo si generava per mezzo di un semplice sguardo. “Sentire il desiderio di qualcosa che si vede e che appartiene ad altri – ha scritto lo staff di Contus.it – comportava automaticamente il rischio che questo qualcosa venisse colpito”. Non è importante se il desiderio viene “esternato” a voce alta o semplicemente pensato. Anche l’ammirazione verso persone, animali, piante o oggetti poteva creare S’ogu malu, e chi restava colpito incorreva in un effetto certamente dannoso. Erano considerati fatalità, al pari di eventi meteorologici, accettati dalla comunità come inevitabili.

 

Ai possibili attacchi di Ogu Malu si rispondeva con la prevenzione: entrano in gioco i gesti, come Sas Ficas, quello di indicare con il pollice la persona che ha mandato il malocchio, mettendolo tra indice e medio e con il pugno chiuso. Anche gli amuleti facevano da scudo, come Sa Sabegia o Su Cocu, pietre in ossidiana, giavazzo o corallo, solitamente incastonate con l’argento. Per poter usufruire della protezione dovevano essere Abrebadas, cioè dovevano esserci recitate sopra le formule.

 

Is Brebus. Il significato è parola, verbo. Nella sfera religioso-popolare sarda su brebu ha una grande potenza. Le formule non sono preghiere, sia ben chiaro: chi le recita non supplica Dio di far avverare qualcosa, anche se le formule sono collegate direttamente al cristianesimo, ma cambia direttamente la realtà, guarendo il malato dal malocchio. Le guaritrici erano chiamate Meigadoras, curatrici, le cosiddette “donne adatte” a praticare Sa mexina de s’ogu, non prendevano nessun compenso. Avvenuta la guarigione si rispondeva Deus ti ddu paghet”. In molte parti della Sardegna accettare compensi per una guarigione equivaleva a eliminare il suo effetto.   Is brebus potevano rinsavire le persone, ma potevano anche prevenire molti mali: proteggevano il raccolto dai vermi, insetti, uccelli e avevano il potere di salvaguardare la salute del bestiame. Altri curavano il mal di testa, toglievano le verruche, le macchie della pelle o curavano dolori articolari.

 

Pratiche. Ne esistono molte, con diverse varianti che cambiano da territorio a territorio. Il rito più diffuso per scoprire se la persona è colpita da Malocchio consiste nel buttare cinque chicchi di grano (a volte fino a sette) in un bicchiere d’acqua (solitamente acqua santa, rubata dall’Acquasantiera della chiesa). Sa Meigadora recitava solitamente il Credo e successivamente i brebus adatti per guarire la persona colpita. Se il grano si solleva la persona fiat istada pigada de ogu, e se questo è molto forte si capisce dalle bollicine nell’acqua. La scrittrice premio Nobel Grazia Deledda invece racconta l’utilizzo di sette piccole brace prese dal fuoco: “Se qualcuna restava in fondo al bicchiere la persona aveva il malocchio”. È facile notare quanto le pratiche, per così dire pagane, erano fortemente influenzate dalla religione cristiana, che le vietava. Per questo le guaritrici stavano bene attente a non farsi scoprire dai prelati del paese.

 

Esempi. Molti libri raccolgono i racconti più significativi che fanno capire quali fossero i bisogni e le paure delle popolazioni sarde. Marilena Cannas nel suo “Riti Magici e Amuleti – Malocchio in Sardegna” dedica un’intera appendice alle storie legate a S’ogu malu. La scrittrice ha raccolto testimonianze dirette di persone curate da Sas Meigadoras (le donne che praticavano sa Mexina de s’ogu): ragazze così belle da essere fissate continuamente dagli uomini, sentitesi male improvvisamente e curate con uno specifico brebu; bambine incupite e senza sorriso, portate da tzia Luxica, tzia Maria, o tzia Giuseppina per la Medicina dell’occhio e subito rinsavite. Altri raccontano di amuleti sbriciolati, che hanno protetto chi lo indossava da enormi pericoli, o di bambini che hanno contato le stelle e la notte si sono riempiti di verruche, eliminate da un rito con lo spago, con segni della croce e potenti unguenti.

 

Molto altro si potrebbe dire sull’argomento. Quello che però è importante evidenziare, al di là del credere o non credere a queste pratiche, è che le stesse prima sono state senza dubbio un collante socio-culturale, erano cioè largamente strutturate nella società. Non mancavano certo le varianti spostandosi da una parte all’altra della Sardegna, sia nelle pratiche che nelle versioni dei brebus, ma sta di fatto che S’ogu malu esisteva ovunque in tutta l’isola: influenzava la vita, le scelte delle comunità. Occorre quindi scindere l’efficacia o meno delle pratiche dalla parte più affascinante, la parte storica. Dimenticare anche solo per un attimo lo scetticismo di concezione scientifica e antireligiosa è forse la cosa più difficile, ma spesso questo nega il piacere di abbandonarsi al fascino prettamente storico di pratiche misteriose utilizzate dai nostri avi e di sorprendenti amuleti, di preghiere e gesti per scongiurare le difficoltà quotidiane, che di fatto fanno parte della nostra cultura passata e non devono essere dimenticate.