La Sardegna è ferma, immobile, granitica. Qui il fuoco si intreccia con il ghiaccio e il vento plasma i pensieri. La Sardegna è un turbinio di emozioni, una calamita che attrae, scuote, urla lontano le grida millenarie del popolo che l’ha sempre abitata. La Sardegna è un tamburo sordo. Un suono forte, cupo, ripetitivo. Una nota sussurrata all’infinito, oltre il mare, verso terre altre, lontane. Al centro del Mediterraneo, dove tutto è definito, dove la certezza non lascia spazio al dubbio. Restare o andare via. Prendere o lasciare.

 

Così com’è, cruda, storta, bruciata. La Sardegna va presa così com’è, senza troppi ripensamenti. Il mare è la cornice che impacchetta questa bella isola, venduta a caro prezzo, sfruttata a più non posso. Ma senza gloria per chi ci nasce, per chi ci vive, per chi se la suda ogni giorno. Per capire la Sardegna, non basta uniformarsi alla massa. Non basta indossare il mare cristallino durante la vacanza fugace. La Sardegna va mangiata, assaporata. Digerita. Vivere la Sardegna, questa è la cosa fondamentale. Viverla. Sbatterci contro. Entrare in punta di piedi, anche per lo straniero che giunge da lontano. Senza baccano, senza niente. Disarmato. Solo. Lo straniero, colui che varca i confini di questo paradiso. Lo straniero negli anni ’70, in bianco e nero. Nella testa tanti pensieri, quelli si, fanno baccano. Spaccano il cervello più di un martello la pietra. I pensieri, costruiti dalle dicerie di chi la Sardegna, l’ha mai vissuta. Quelle parole spese a caso, messe insieme subito dopo qualche bassa trasmissione televisiva.

 

Tanti anni fa, negli anni ’70. Si sapeva poco o niente della Sardegna. Il nulla, questo immaginavano oltre il mare, dove le città brulicavano di modernità, macchine, futuro. Negli anni ’70, entrare in punta di piedi in Sardegna, per lo straniero che viene da lontano, significava abbattere i preconcetti. E subito dopo, aprire il cuore e la mente alla diffidenza mal celata. Quella diffidenza che mutava in ospitalità. Ferdinando Longhi, fotografo di Milano. Straniero in terra sarda. Straniero negli anni ’70, a Torpè. Lui, ferma ogni secondo della vita di questo paese. Lo fotografa, unisce i punti di una trama complessa fatta di feste, cucina, lavoro, sudore. Racconta, fotogramma dopo fotogramma, la spensieratezza di un popolo forte, legato alla tradizione, intimidito dalla ventata di modernismo che stava mutando la società sarda. Ferdinando Longhi, disarmato, solo. Varcati i confini dell’incertezza, superati gli sguardi dubbiosi, prende per mani il destino. Compito arduo, ma le sue immagini sono una grande risorsa, non solo per i sardi ma per tutti gli italiani. Perchè mette in scena la complessa cultura arcaica, il valore del sorriso di ogni donna e uomo, la luce degli occhi di chi, dopo tanto sudore trova ristoro nell’ironica società sarda, di Torpè. Ferdinando Longhi e il suo racconto “Sardegna anni 70. Genti di Torpè e dintorni”, sarà esposta a Torpè nel Salone della Parrocchia in via San Nicolò dal 7 (inaugurazione alle ore 18) al 10 settembre.