Una casa a corte nella parte bassa del paese. All’interno, la grande cucina con il focolare al centro e i cannicci sul soffitto, il forno acceso per la panificazione, la stanza con la credenza antica, il cortile un tempo destinato agli strumenti da lavoro. Un uomo in piedi in cima ad una scala scruta l’orizzonte, con lo sguardo proteso verso le grandi querce che s’innalzano in mezzo agli orti coltivati oltre il paese. All’esterno, il portale con due grossi battenti posti ad altezze diverse, la strada in selciato, le altre abitazioni disposte a gradoni lungo il pendio dell’altura sulla quale si erge, in cima, un imponente nuraghe monotorre. Il paese è Armungia, piccolo centro del Gerrei, parte interna della Sardegna sudorientale segnata da altipiani e profonde valli che si aprono sul corso del Flumendosa. L’uomo è Emilio Lussu, ritratto nell’inverno del 1971 dall’artista cagliaritano Franco Caruso con la moglie Joyce, nella casa natale.

 

Sono le prime immagini che s’incontrano entrando nel museo dedicato a queste due straordinarie figure della storia del Novecento, allestito all’interno di un edificio padronale del XIX secolo, lungo la via principale del paese. Quegli scatti fotografici nacquero dall’incontro tra Caruso e Joyce avvenuto diversi anni prima a Cagliari. Caruso era all’epoca uno degli animatori del Centro d’Iniziativa Democratica, circolo che riuniva diversi artisti e intellettuali della città. Nei primi anni Sessanta questi si erano interessati alle opere del poeta turco Nazim Hikmet, che proprio Joyce stava introducendo in Italia con le sue traduzioni. Il rapporto tra i due si mantenne negli anni e il fotografo cagliaritano fu infine invitato ad Armungia. Qui ebbe modo di realizzare gli scatti che oggi compongono questa collezione, testimonianza preziosa del rapporto che unì Emilio Lussu al paese in cui era nato, tra i monti del Gerrei, il 4 dicembre 1890.

Il legame con quel paese Lussu se l’era portato appresso attraverso i grandi avvenimenti della storia del Novecento di cui era stato protagonista. Fu capitano della Brigata Sassari nella Grande Guerra, guida del movimento degli ex combattenti sardi, fondatore del Partito Sardo d’Azione, strenuo oppositore del regime fascista.

 

La Brigata Sassari era stata scuola rivoluzionaria, all’origine di una nuova coscienza politica che aveva portato, dopo il ritorno dal fronte, all’organizzazione di grandi masse rurali e popolari in tutta l’isola. Sotto la guida dei loro ex ufficiali, capaci di farsi interpreti delle istanze di rinnovamento della loro terra, queste masse erano riuscite a spezzare ogni forma di sottomissione e dipendenza arcaica, conquistando amministrazioni comunali e proponendo nuove forme di organizzazione sociale ed economica.

 

Partendo da questa esperienza, da Lipari in poi Lussu aveva cominciato a pensare a lungo ad un piano insurrezionale che doveva partire dalla Sardegna: ad essa avrebbe dovuto spettare un ruolo di avanguardia nella rivoluzione antifascista e nel processo di trasformazione democratica del paese. Rientrato clandestinamente in Italia nel ’43 dopo gli anni dell’esilio, aveva preso parte alla Resistenza nella Roma occupata dai nazisti. In Sardegna era potuto tornare soltanto nel luglio del ’44, dopo 17 anni di lontananza, durante i quali aveva continuato a mantenere contatti con Armungia e con alcuni amici antifascisti sardi. Eletto all’Assemblea costituente e parlamentare per vent’anni, sarebbero rimaste tradite le sue speranze per la costruzione di un’ampia autonomia nell’isola. Nondimeno si sarebbe impegnato ancora a lungo per il suo progresso economico e sociale.

 

Tra gli anni Cinquanta e Sessanta Lussu volle approfondire in molti dei suoi scritti il senso profondo del rapporto con la sua terra, le grandi trasformazioni sociali che l’avevano investita, l’esperienza della Brigata Sassari e le origini storiche del sardismo. Poté tornare anche alla memoria delle origini, a quel mondo popolare, pastorale ed arcaico, di cui aveva conosciuto gli ultimi avanzi, evocandolo memorabilmente nella premessa all’edizione del 1968 de Il Cinghiale del Diavolo, che rimane ancora oggi uno dei momenti più alti della sua produzione letteraria.

 

Dopo la sua scomparsa, Joyce portò in Sardegna le sue carte private, affidandole a un gruppo di amici sardi riuniti nel Collettivo Emilio Lussu, che s’impegnarono a riorganizzare quella ricca mole di documenti, valorizzandola e rendendola accessibile. Insieme a Gian Giacomo Ortu e Giuseppe Caboni, nel maggio del ’77 fu fondatrice dell’Istituto Sardo per la Storia della Resistenza e dell’Autonomia, assumendone la presidenza per oltre un decennio.

 

In quegli stessi anni Armungia cominciò a conoscere i primi segni di un risveglio culturale lungamente atteso. Nel 1982 fu inaugurato per la prima volta il Museo etnografico Sa Domu de is Ainas, grazie all’iniziativa di un gruppo di donne del paese, sostenute dalla collaborazione di validi studiosi e motivate dalla volontà di impedire la scomparsa delle radici storiche della comunità. Joyce e l’Issra vi presero parte attivamente, fornendo un primo nucleo di fotografie e documenti destinati a ripercorrere, all’interno del museo, la biografia di Emilio Lussu. Ed è proprio nel suo paese, tra la sua gente, che quella biografia doveva essere ripercorsa. “Emilio – è il ricordo di Joyce – aveva questo straordinario rapporto con la gente. È stata la cosa che più mi ha colpito la prima volta che sono stata ad Armungia. Era contornato da uomini, donne, pastori, ed era proprio uno di loro, non si distingueva più.

 

Questo progetto museale è cresciuto nel tempo, arricchito tra gli anni Ottanta e Novanta da un lungo lavoro di studio e documentazione etnografica condotto da Maria Gabrielle Da Re. Il progetto è stato realizzato in concomitanza con un intervento di indagine archeologica sul sito del nuraghe situato all’interno dell’abitato, che oggi si visita passando dal museo. Grazie al contributo fondamentale dell’Istituto Sardo, si è giunti infine nel 2009 alla inaugurazione della nuova esposizione dedicata a Emilio e Joyce Lussu. E proprio a Joyce è dedicata una mostra fotografica allestita nel2012 inoccasione del ricorrere del centenario della nascita.

 

Il museo si compone di immagini storiche e documenti, passaggi di scritti autobiografici, arricchiti da un innovativo spazio multimediale – con interviste, ricostruzioni filmiche e approfondimenti – curato da Giuseppe Caboni e Luisa Maria Plaisant. Luogo di memorie ed esposizione, testimonianza della vicenda umana e politica di Emilio e Joyce, il museo si propone di essere anche strumento per analizzarne le idee e i convincimenti, quanto mai attuali: la liberazione dei popoli dalla povertà, il rispetto per l’ambiente, l’emancipazione delle donne, la laicità, il senso etico dell’impegno pubblico, il fondamento democratico di ogni processo politico. Ed è nell’impegno intorno a questo patrimonio di idee e valori che Armungia, oggi, ha una missione da portare avanti.