Pipas spollincas e pipas bestidas. Pipe in terracotta e rivestite d’ottone (allutonadas). Gianni Carta, 53 anni, crea questi manufatti con la stessa tecnica del passato. È un grande artista che ama la natura e le antiche tradizioni. È rimasto da solo a difendere un mondo ed una cultura destinati a sopravvivere solo grazie al suo ingegno, al gusto per il bello e la perfezione delle forme. Realizza le pipe in terracotta con un’arte sopraffina frutto di osservazione e di studio ma anche di una propensione naturale per un mestiere che ormai non esiste più.

Ci vuole troppa fatica, troppo tempo nel cercare l’argilla, lavorarla con dedizione, plasmarla e decorarla con i misteriosi simboli ereditati da un passato lontano. Poi la precisione assoluta nel lavorare le lamine di ottone e persino d’argento e con queste rivestire le pipe di terracotta. Sono operazioni da mastro gioielliere: questi manufatti sono quanto più prezioso si possa immaginare per bellezza ed armonia.  Un tempo a Teulada sa pipa allutonada era quasi un complemento del costume maschile. Non c’era teuladino che non esibisse, soprattutto nelle grandi occasioni (ma anche nella vita di tutti i giorni), la sua preziosa pipa.

 

In paese si dice ci fosse una discreta produzione almeno sino alla fine del 1800. La terra è ottima, l’argilla, dunque, di grande qualità e di varie sfumature di colore. Le pipe di Teulada erano famose in tutta l’isola, ma già nel 1880 inuna relazione di Giuseppe Corona, al Ministro dell’Agricoltura, si metteva in risalto come la fabbrica di Teulada fosse in crisi. Già nel 1889 la produzione era ridotta al minimo. Intanto però in diverse parti della Sardegna il fumare sa pipa allutonada era considerato uno status di prestigio. La pipa è ancora largamente usata per tutto il 1900, sino alla soglia degli anni 2000. C’è una ricca documentazione, rappresentata da tante fotografie e soprattutto dalle pregevoli opere pittoriche di Giuseppe Biasi, Mario Mossa Demurtas, Cesare Cabras e Tarquinio Sini.

 

Qualche anno fa un mio amico montanaro, proveniente da quel di Aritzo, mi raccontava che i pastori della sua terra, in tempi ormai lontani, erano soliti rivolgere questo augurio al loro primogenito appena nato: “A ti biri calende ‘e Gennargentu, cuaddu a nanti, cuaddu a vattu e tui in mesu a pipa allutonada in buca”. Un augurio di prosperità e di potenza, evidenziati da un vezzo di distinzione rappresentato proprio dalla pipa rivestita in ottone. Anche in Barbagia era rinomata la pipa di Teulada che nei casi di presunta signorilità era rivestita d’argento.

 

Gianni Carta conosce bene la storia dell’artigianato sardo e dell’arte figulina perché ne ha studiato a fondo le tecniche e le caratteristiche, ma la sua grande cultura in questo campo deriva dai lunghi colloqui con le persone anziane, le escursioni in campagna, le visite ai nuraghi ed ai piccoli agglomerati urbani ormai abbandonati. È qui che scopre molti piccoli segreti che trasferisce poi nella creazione dei gioielli artigianali. Senza dimenticare l’attenta osservazione di alcune pipe conservate dai parenti di un vecchio artigiano morto qualche decennio fa. Gianni fa tesoro di tutto ma elabora i suoi modelli grazie alla fantasia ed all’arte raffinata che possiede come dono innato. Ora è rimasto solo a proteggere un patrimonio culturale e artistico di grande valore. Sa pipa allutonada si vende ancora ma solo ai turisti, a qualche teuladino emigrato, a coloro che decidono, ogni tanto, di fare un regalo intelligente.

Gianni sceglie l’argilla con cura, fra quella con meno impurità. Il periodo ideale va da maggio a settembre, quando le temperature sono più alte e facilitano l’evaporazione dell’umidità contenuta nella terra. Prende il via allora la prima fase: si forma una sorta di pastone con molta acqua che aiuta a sciogliere la terra. Si filtra il tutto e si fa asciugare. Vengono formati dei rotoli di argilla e custoditi con la massima cura. La fase seguente consiste nell’abbozzare la forma della pipa, le cui dimensioni ideali vanno dai 3 ai5 centimetri, e farla asciugare. Si passa poi alla rifinitura rigorosamente a mano, a svuotare la pipa per realizzare i buchi per il fornello e il bocchino. Si procede così a disegnare dei motivi ornamentali, simboli e segni antichissimi, realizzati con degli strumenti particolari o facendo ricorso ad una conchiglia. A lavoro finito un’altra settimana di riposo per il manufatto, indispensabile per eliminare tutta l’umidità prima di finire in un forno a 970 gradi per almeno 10 ore . Intanto si prepara una lunga cannuccia con legno di sambuco, fico selvatico o altri legni particolari che fungerà da bocchino. Ultima fase, quella del rivestimento della pipa con lamina di ottone ma anche di rame o d’argento.

 

A chiusura del fornello si realizza un coperchio dello stesso materiale del rivestimento, dotato di piccoli fori per il passaggio del fumo, utile per consentire l’uso della pipa anche nelle giornate di vento o di pioggia. Un lavoro lungo e difficile. In una giornata si possono realizzare non più di tre manufatti. Gianni Carta ama le sue creazioni, le cura con delicatezza e grande amore, consapevole dell’importanza di essere l’ultimo depositario di un’arte antica di altissima e prestigiosa nobiltà.