Quando tutto ci va storto e non ne possiamo più, che cosa c’è di meglio di un bel frastimu come nei tempi andati per scaricare la nostra inquietudine e riversarla magari su coloro che l’hanno causata? In passato, nelle nostre comunità agro-pastorali, venivano utilizzati normalmente per allontanare la malasorte o per proteggere il raccolto e il bestiame dall’invidia e dalla cattiveria dei compaesani.

Tutto ciò ci sovviene leggendo Irrocos e Frastimos  di Raffaele Carboni, l’ultima sua fatica letteraria “un saggio leggero, spiritoso, e così ben articolato, da intrigare immediatamente il lettore con i suoi continui rimandi al vissuto popolare dei frastimos”. Così lo definisce Paolo Bullita, appassionato  di arte e cultura della Sardegna,  nonché suo amico di lunga data.

 

– Come è nata l’idea di scrivere questo libro e perché?

In giro con gli amici, alla ricerca di tutto ciò che riguardava la Sardegna formavamo la cosiddetta Compagnia dei Girovaghi, mentre loro andavano per siti archeologici e vecchie chiese e, arrancando per campanili dalle scale non sempre sicure, preferivo parlare con gli anziamni nelle strade e a volte nelle bettole, gli tzilleris. Così quasi per gioco ho cominciato a raccogliere i vari modi di dire e le espressioni più genuine della nostra cultura, che  va, purtroppo,  scomparendo.

Ad onor del vero devo confessare di aver avuto lo stimolo, unu segamentu mannu, a scrivere questo libro dall’amico Paulicu, che in tal modo si vendicava della mia insistenza affinché si decidesse a dare alle stampe una sua fatica sul nostro ateneo,  Note sulla Storia della Università di Cagliari.

Chi era il frastimadore?

Era una specie di veggente, un mago direi, con facoltà divinatorie,  cui ci si rivolgeva per ritrovare oggetti smarriti, il bestiame rubato o per lanciare invettive e fatture per un torto subìto  o in caso di calamità naturali. A volte, era anche un poeta perché declamava in rima. Tutto ciò avveniva senza compenso, in  quanto lo si riteneva un dono divino, tutt’al più gli si donavano generi alimentari di largo consumo.

 

Esisteva la frastimadora?

Si, anzi molto spesso il frastimadore era una donna, che oltre ad avere una forte carica d’odio e di risentimento per torti veri o presunti, possedeva anche una certa vena poetica. Ma non la si poteva chiamare apertamente così.

 

Quale è la differenza tra Irrocos e Frastimos?

Gli irrocos e i frastimos sono delle imprecazioni o maledizioni in lingua sarda, tipici della società agro-pastorale contro persone o cose, da non confondersi con le bestemmie.

Va detto che in Sardegna, per un atavico attaccamento alla religione e  per una innata paura del trascendente, le bestemmie quasi non esistevano, sono entrate in seguito, nell’uso comune a causa di comunicazioni e scambi con altri popoli e culture come i toscani e piemontesi.

Resta il  fatto che spesso le nostre imprecazioni o le nostre invocazioni, nei momenti di emozioni profonde sono in sardo, la lingua delle nostre radici,  dei nostri padri.

 

Il termine frastimo lo si fa derivare dal catalano Blastomar (bestemmiare, imprecare) e lo si fa risalire al tredicesimo secolo, mentre, secondo Wagner, la parola Irrocu ha un’origine più antica in quanto deriva dal latino exorciso, ma pare sia più attendibile provenire da irrogare, usato nella tarda latinità nel senso di comminare un tributo, infliggere una pena, maledire o condannare a morte qualcuno.

L’irrocu è un componimento in versi più o meno lungo, i più famosi sono formati da un’ottava o da una quartina, ma ce ne sono anche di cinque o sei versi o formati da più ottave.

Ecco un Irrocu formato da una quartina in versi ottonari a rima alternata.

Chi ti falet unu raju

Pighes fogu che pabilu

Brujes che fogu ’e maju

Unu fogu donzi pilu

 

Il frastimu, invece, è formato da esclamazioni o interiezioni, di una sola frase.

Chi ti mandighen sos canes

Sos ojos ‘nde catzes

Su risu ‘e sa columba chi fettas

 

Così la lettura si fa via via più avvincente e il lavoro dell’autore è coinvolgente, degno di nota per l’impegno e la profondità della ricerca.

Molto significativi ed appropriati, i disegni di Paola Francesca Fiori, completano convenientemente l’opera.

Infine, inattesa, ecco la litra a Fieleddu che Paolo Bullita (Paulicu) invia all’autore, ove fa capolino la vecchia rivalità tra Nord e Sud

Fieleddu Miu

Própiu m’as provocau!

Cresi diarerus chi su chistionai su cabesusesu siat mellus de su campidanesu?

No arrennésciu a cumprendi puita, ma t’ assiguru ch’in fattu de frastimus su campidanesu ndi sciri quattr’arrigas de prus! De su casteddaiu, poi, non ndi chistioneus!

Non s’at a arregordai beni is oratzionis ma de frastimus est unu maistu mannu!

Si non mi creis, ligidì custus dexi e faimì  sciri!

                                               Paulicu

 

Eccone alcuni:

Chi ti cois e non inzertis!

Chi non bias sa diri de crasi!

In pamentu ti pongant!

Puntu, mortu e scuartarau!

Infine, chiediamo all’autore il significato delle parole all’inizio del testo: Un piccolo segno… Un grande amore.

“Questo libro è un piccolo segno del grande amore che ho per i miei cari, per la mia famiglia, la mia terra e  la vita in tutte le sue sfaccettature.”