Rosanna Sotgiu mi accoglie in cucina, il cuore della sua casa piena di fiori, con un sorriso, un caffè fumante e parole schiette. Mi sembra così di conoscerla da sempre, di avere con lei un rapporto di amicizia con  radici nel tempo. Conosce le erbe tintorie del salto di Bitti, ma, quando mi azzardo a definirla esperta,  si ritrae come fanno le onde del mare sulla battigia. Come le onde torna però, puntuale e generosa, al racconto di sé. Le sue parole sono di umiltà prima che di esperienza e il suo sguardo è quello vissuto e ricco di anima di molte donne dell’interno. I gesti appena concitati tradiscono un entusiasmo misurato dalla timidezza Dice di avere una fede incrollabile in Dio che la guida nei giorni e l’idea fissa che l’incontro con gli altri debba intendersi come dono: così mi spiega il senso della sua accoglienza.

 

Nel 1996 frequentò a Bitti il laboratorio di tessitura voluto da Diego Asproni, allora vice sindaco e assessore alla cultura del paese. Il desiderio di imparare a tessere sa vrassata col telaio verticale  Rosanna lo coltivava da una vita e il laboratorio rappresentava perciò un’occasione da non perdere. Sa mastra era la signora Teresa Cossu di Orune, alla quale è  grata ancora per averla instradata nel dedalo intricato della tessitura, insegnandole i primi rudimenti delle trame e degli orditi. L’allieva ha poi continuato da sola, quasi giocando con i fili colorati per arredare la sua casa. Il primo esito di quel gioco lo calpesti nell’ingresso: un piccolo tappeto a disegni geometrici nei toni tenui del verde, del rosa e del marrone, che non vorresti sporcare.

 

Le matasse di lana sarda utilizzate nel laboratorio erano state filate a Nule e colorate con tinte chimiche. Rosanna imparava a tessere, ma era turbata dal solletico della conoscenza che la timidezza le impediva di esprimere. Poi un giorno osò farlo e sa mastra spiegò, finalmente, il procedimento per la tintura naturale della lana con su truìscu, l’erba che dà il colore  giallo de sa vrassata, ma “lo spiegò soltanto a parole, perché non c’era il tempo di mostrarcelo”. Dove mancò il laboratorio poté però il suo interesse crescente verso la materia, tanto che, in quel periodo, il detto proverbiale che alla curiosità attribuisce il genere femminile non trovò sponda più amica della sua. Così cominciò a sperimentare da sola la tintura della lana: “Vista l’erba e provata… ne ho bruciato di pentole…” La curiosità come chiave della conoscenza sembra trovare in lei più aderenze: nessuna chiave si rivelò infatti più opportuna ed efficace per svelare i segreti delle erbe. “Andavo in campagna quasi ogni giorno, con mio marito Bruno, pastore, o con mamma”. Le uscite fruttavano bottini preziosi di foglie, radici, bacche, cortecce, galle, bucce… che lei sottoponeva ai processi di essiccazione o macerazione, oppure all’utilizzo immediato. Intanto imparava. Mentre imparava, annotava nella mente le variabili che modificavano i toni  di colore delle stesse erbe: le stagioni, l’umidità, la luce del sole, la quantità e la fase di maturazione delle erbe, il numero di bagni della lana nell’acqua di tintura…“Perciò consiglio di  cogliere in una volta sola la quantità di erba che serve per tingere tutta la lana necessaria per un manufatto, altrimenti…” Lascia cadere a mezz’aria le ultime parole che si perdono coi passi, mentre esce dalla cucina. Le ritrovo subito dopo, mentre torna col cestino dei bottini da fotografare…“altrimenti la lana prenderà sfumature di colore diverse”.

 

Rosanna porta anche dei barattoli dove alcune radici sono immerse in liquidi scuri e altri che contengono terre colorate. Le ultime servono per nuovi esperimenti. A procurargliele è stato Diego Asproni, che le utilizza per dipingere. Inizia quindi ad elencare le erbe e i relativi colori scoperti e utilizzati, oltre a su truiscu, ricco di tannino, che può dare alla lana le tonalità del giallo, del marrone o del verde. Racconta di aver sperimentato le radici della robbia (colore rosso), la lavanda , archimissa voina (verde chiaro), le galle della quercia (marrone scuro), anch’esse ricche di tannino come le palline, sas laddaras, dell’olmo, (marrone chiaro), il papavero (lilla che scolora nel grigio), l’ippocastano (giallo tenue), l’alaterno (giallo,verde, marrone) e poi ancora lo zafferano e la cipolla (giallo) e tante altre… Dice che “i metodi di tintura cambiano con le erbe e i mordenti che però non servono con quelle ricche di tannino”. Una prova dura un attimo: nel pentolino d’acqua che bolle sui fornelli, versa alcune bucce di cipolla ramata e, dopo qualche minuto, vi immerge due fili di lana bagnati: quello non trattato stenta a prendere un accenno di giallo, mentre il  mordentato con allume di rocca si tinge quasi subito del colore più intenso.

 

“Sono i doni e i modi di vivere che la natura ci offre… i giovani dovrebbero conoscerli… è difficile avere risultati uguali perché ogni artigiana ha la sua mano… per me  tingere e tessere sono una passione, non un lavoro…”.

 

Nella scorsa edizione di Cortes Apertas, a Bitti, Rosanna ha svelato il suo sapere ai visitatori ed è ancora disponibile a farlo, per seguire il consiglio della professoressa Carta Mantiglia che un giorno le disse: “Non perdete le tradizioni”.