C’è un ritaglio di terra al centro del Mediterraneo occidentale chiamato Sardegna. Un’isola antichissima, dai rilievi brulli e aridi modellati da millenni di mare e di vento. L’isola dai molti nomi (Ichnoussa o Sandaliotis) per i naviganti greci -che la credevano l’impronta del piede lasciata da un dio come segno del suo passaggio- è argyróphleps nésos, l’isola dalle vene d’argento, l’Eldorado della prima Età del Ferro per i naviganti orientali che solcavano i mari occidentali alla ricerca di metalli. L’isola dai molti esploratori e viaggi: quelli mitici di Sardo che dall’Africa giunse in Sardegna dove venne presto considerato un dio con il nome di Sardus Pater; quelli di Aristeo, che donò all’isola la coltivazione della vite e l’apicoltura; di Norace, il fondatore della prima città, Nora; del greco Iolao, nipote di Ercole, del cui passaggio, secondo la tradizione, restò traccia nel nome delle popolazioni più interne dell’isola, gli Iolei, ultimi superstiti di quei Greci che, sconfitti dai Libi o Africani, si sarebbero rifugiati nei monti della Barbaria conservando per sempre la libertà “senza essere mai asserviti da un esercito nemico”.

 

L’isola dai molti volti: quello superbo del Gennargentu dalle cime innevate e abitate da mufloni, quello dolce del Logudoro con le sue colline vulcaniche, quello aspro del Supramonte con i suoi anfratti che solo i banditi possono conoscere, quello delle sue coste sinuose mangiate dal mare, e infine quello delle sue piane, per secoli salvezza delle greggi e dei pastori transumanti ma anche covo di morte per chi cadeva nelle febbri della malaria.

 

Isola dipinta nei mille colori dei costumi tradizionali, nel rosso del corallo, nel giallo delle ginestre e delle colline estive, nel verde dei pascoli, nell’azzurro del mare. Isola che profuma di timo e di mirto, di pane carasau appena uscito dal forno. Isola che danza in cerchio, si cela dietro una maschera di legno nero, domanda consiglio alle janas. Isola del silenzio, del pastore che ha come tetto il cielo e della madre che tiene in grembo il figlio ucciso per vendetta.

 

L’isola di tutti e di nessuno: dei guerrieri nuragici che l’hanno resa immortale con le loro torri di pietra, dei naviganti orientali (micenei, ciprioti, eubei) alla ricerca di metalli, dei fenici che ne hanno fatto un avamposto per i loro commerci, dei cartaginesi, dei romani, dei vandali, dei bizantini, degli aragonesi, degli italiani.

 

C’è un ritaglio di terra al centro del Mediterraneo occidentale, una terra aperta e chiusa da quello stesso mare, amico e nemico insieme: questa è la terra dei Sardi, questa è la mia terra.

 

Oh Sardigna, custa est s’ora..

 

Ore 04:30. È successo anche stanotte. Mi sveglio, accendo la luce e accade: un piccolo dio (o una jana?) mi invade. È devastante: devo assolutamente scrivere, prendere un appunto: accendo il cellulare e scrivo qualcosa nelle note.

 

Ho visto la mia Sardegna, la nostra Sardegna, sola e abbandonata. Da tutti: dalla patria italiana e dagli stessi Sardi. Tra Concordia, crisi economica e spread-btp-bund, Michele Misseri e Villaggi vari ed eventuali, si sono dimenticati di noi. Dei pastori che protestano da mesi perché non ce la fanno più, il loro latte non è pagato, si stanno indebitando e l’economia sta morendo; degli operai della Vinyls di Porto Torres trincerati sulla torre aragonese, dei lavoratori dell’Alcoa, ultimo segno di vitalità di un Sulcis tremendamente bello e povero.

 

Ma questa è la crisi, che ha investito tutta l’Italia, l’Europa e il mondo occidentale. Il governo e la regione possono fare ben poco, dicono. E Rossella Urru? Anche lei è stata spazzata via dalla crisi? Oppure il suo caso non merita di essere portato all’attenzione dei media perché non ha ucciso né la madre né la cuginetta ed è stata “solamente” rapita in missione di pace (quella vera) in un campo di profughi Saharawi? Però quando ci è stato richiesto un sacrificio per la patria italiana i Sardi sono sempre stati pronti, e in prima fila. E non parlo solo delle guerre in Iraq o in Afghanistan, dove la Brigata Sassari ancora oggi tiene alto l’onore dell’Italia. Parlo anche delle guerre mondiali, in particolare della prima, quando per difendere il Bel Paese dal pericolo austriaco diedero la vita 13.602 Sardi, senza contare i 2.088 dispersi e gli oltre novemila feriti (Pro difender sa patria italiana/ s’est destruida sa Sardigna intrea, commentava Camillo Bellieni). Bisognerebbe dirglielo a Bossi e ai leghisti: è grazie ai Sardi se oggi non parlano austriaco. Ma questa è roba vecchia, è passato, a chi vuoi che interessi più.

 

Esistiamo solo quando devono installare basi militari perché siamo una colonia al centro del Mediterraneo, quando devono portarci l’immondizia di Napoli perché loro non riescono a smaltirla, quando pensano al nucleare perché la Sardegna è una terra non sismica, quando devono sventrarci per portare il metano dall’Algeria al continente. E nel frattempo non ci viene garantita la continuità territoriale, e tutto sembra pianificato di modo che nessuno, né via mare né via cielo, possa uscire né venire in Sardegna, uccidendo così la nostra ultima risorsa, il turismo.

Oh Sardigna, custa est s’ora..