Attore, regista, una vita per il teatro.

 

– Cos’è per te il teatro? Crescita culturale, intrattenimento o sperimentazione?

 

Se vado a ritroso nel tempo, direi, che è tutto ciò. Nel ’67 iniziai a frequentare il mondo degli attori recitando nello spettacolo di Zappareddu Ricorda con rabbia, cui seguì nel ’68, Il mostro di Harlem, che portava in scena la condizione degli oppressi. Infine il Marat Sade, sempre con la regia di Zappareddu in cui da generico divento protagonista interpretando il marchese de Sade. Così, poiché fare l’attore non mi bastava più ma nasceva in me il desiderio di dirigere, divento aiuto regista per un anno. I primi anni Settanta sono quelli del teatro militante–politico. Si va nelle piazze, nelle fabbriche, con testi politicizzati, di Dario Fo, Claudio Maldolesi, che nascevano dalla realtà del mondo operaio; teatro popolare, teatro puro perché si andava alle sei del mattino all’ingresso degli operai in fabbrica oppure durante le occupazioni e su un palchetto e un megafono si recitavano e si cantavano le canzoni popolari di lotta. Con la crisi delle ideologie mi rifugio nei laboratori per imparare le varie tecniche partecipando a diversi stages intensi, proficui, a volte di una settimana intera, mattina e sera. Nasce un nuovo modo di fare teatro che viene fuori come un riflusso: un teatro gestuale di introspezione, non necessariamente parlato, fatto di gesti, di salti e di piroette.

 

Quindi metto su i miei laboratori con attori giovanissimi e nell’ 80 dirigo Is tzeracas di Roberto Olla vincitore di concorso alla Rai, prima sede Cagliari, all’Alfieri. Ne fece la recensione Vittorino Fiori, il temuto critico de L’Unione Sarda, che non fu entusiasmante ma per noi giovani: fu però un segnale positivo in quanto eravamo degni di critica. Segue la collaborazione decennale alla Rai ove recito, dirigo, coordino lavori teatrali. In questo periodo mi viene proposto di lavorare con Francesco Masala, un progetto sul teatro sardo di una ventina di puntate. Ma sentii intimidito e nelle stesso tempo motivato ad accettare. Masala era già quello delle Poesias in duas limbas, di Quelli delle labbra bianche, la cui fama, da tempo, aveva varcato i confini dell’Isola.

 

Ma Roberto mi disse: “Vai tranquillo, vedrai, è troppo togo”. Inizia così una grande amicizia, un rapporto immenso, immediato, intenso. Masala era scostante, durissimo, con chi non riteneva degno di considerazione ma con me fu dolcissimo e feci di tutto per non deluderlo. Mi resi conto dopo la realizzazione della Storia del Teatro Sardo, che avevamo un grande patrimonio culturale popolare che andava approfondito e divulgato. Conosco i Medas e mettiamo in scena Cinixiu e Ammentos tutto in campidanese in cui i fratelli, Mario e Antonio, si scambiavano le parti, contendendosi applausi e consensi. Con Cinixiu e Ammentos il teatro sardo va in giro per il mondo con circa 600 rappresentazioni, e Zappareddu mi fece le congratulazioni.

 

 

– Ma recitando in limba vi capivano tutti?

 

Anni fa, in Belgio, in una tournèe con pubblico misto, c’era anche il Coro di Nuoro con Non potho reposare, in un intenso scambio culturale, alla fine dello spettacolo ci dissero non abbiamo capito un’acca della vostra antica lingua ma abbiamo capito tutto perché arrivava direttamente al cuore. Pure a Benevento, durante il festival nazionale e internazionale delle lingue sconfitte, dopo aver visto Cinixiu, il sindaco, piangendo, mi disse che gli ricordava suo padre. “Perché, era sardo?” “No, era un contadino”

 

Così a Rimini e in tutti i posti che abbiamo visitato ci capivano e si commuovevano perché si recitava in una lingua universale talmente forte, nella sua struttura, da far emergere i valori del mondo contadino. Passai quindi al teatro popolare cagliaritano con Piero Marcialis e Giampaolo Loddo.

 

Negli anni 90 l’incontro con la cooperativa La Maschera di San Sperate di cui sono direttore artistico dal 2000. Gli ultimi lavori sono commedie musicali grottesche: Pinter non l’avrebbe mai scritto di Nino Nonnis di cui sono attore e regista e Gratta e vinci o delle Allegre comari di cui curo la regia.

 

– Che lingua utilizzi in questi lavori?

 

Sono bilingui in quanto gli attori parlano il sardo campidanese e l’italiano che usa lo slang cioè un italiano sporcato dai modi di dire tipici della realtà quotidiana. Il pubblico si diverte, chiede bis, passa parola ad amici e parenti che vengono agli spettacoli con buoni risultati al botteghino il che non guasta. Gli attori sono Anna Pia, Ida Pillittu, Fulvia Ibba, Gina Porcu, Massimo Muscas, Andrea Ibba Monni, Nino Landis e tranne Gina Porcu e Ida Pillittu gli altri sono miei allievi, hanno iniziato a recitare con me. Dal 96 dirigo una scuola di recitazione Santa Lucia con venticinque allievi, a Cagliari; ho messo in scena moltissimi lavori con saggio finale annuale, che forma attori e registi L’ultimo lavoro, a San Sperate per i 60 anni di carriera di Giampaolo Loddo: Superenaloddo, dai rimorchi al Lido di Venezia. Un varietà comico musicale dal vivo con Giampaolo Loddo, Anna Pia e una band. Giusto riconoscimento ad un attore versatile che con ironia, e allegria, a volte venata di tristezza, ha portato in scena figure tipiche della realtà isolana.