Il Crocifisso di Nicodemo è una scultura databile tra il XIV e il XV secolo, che deriva da una serie scultorea di crocifissi gotico-dolorosi, si svilupparono principalmente nella regione francese del Rossiglione partendo dai prototipi di area renana.
Questo esempio di scultura sacra, è considerato uno dei simulacri più importanti nell’isola.
Secondo un’antica leggenda, sarebbe stato scolpito da Nicodemo, discepolo di Gesù, trasportato successivamente in Sardegna dal lontano Oriente, dai cristiani fuggiaschi, e poi trasferito ad Oristano e posto nella Chiesa dei Monaci Vittorini, dai quali in un secondo momento fu ereditato dai Francescani.
L’ artista ha voluto sicuramente rappresentare il Cristo nell’atto supremo in cui pronuncia le parole: “Tutto è compiuto”, ed esala l’ultimo respiro.
Un altro fatto curioso, relativo a quest’opera , è legato alla questione che, la croce su cui è fissato il Cristo, appartiene ad un epoca più recente. Il Cristo è stato scolpito su legno di pero, mentre la croce realizzata con legno di pino. Il Cristo è stato inoltre cosparso con un sottile strato di gesso e successivamente dipinto.
Le sue dimensioni notevoli, 2 metri e 30, con ampiezza di 1 metro e 95, fanno ipotizzare un origine germanica, filtrata da influssi franco-catalani,  (poiché, ritroviamo un opera simile, il Cristo di Perpignano, risalente al 1307, conservato nella cattedrale dell’antica cittadina di confine tra Francia e Spagna).
Il Messia  presenta il volto fortemente smagrito e reclina il capo sulla spalla destra. Un’ importante corona di spine gli cinge il perimetro superiore della testa, da cui colano copiose gocce di sangue. Il torace trafitto dal colpo di lancia appena inferto, fa sgorgare un rigagnolo di acqua, misto ad aceto di vino (come riportato nelle Sacre Scritture). Le ginocchia sono genuflesse e il ventre teso, la sua pelle è punteggiata fittamente da gocce di sangue, e il perizoma bianco gli ricade sui fianchi spigolosi. Le braccia con muscolatura irrigidita dall’eccessivo dolore provato in croce, terminano all’estremità con le dita delle mani ripiegate su se stesse per via dei chiodi in ferro che lo trafiggono nei palmi.
Quest’opera non è altro che il frutto del misticismo che perdurò nel ‘300, espressione di un dolore velato di idealità, elevandosi al soprannaturale volere divino.