Sa Domu Nosta è un’antica casa padronale, situata a Senorbì e risalente agli inizi del 1800. Le notizie più antiche sull’edificio risalgono agli inizi del secolo scorso, quando il notaio Arturo Carmelita, originario di Cagliari, rilevò lo stabile adibendolo ad abitazione e studio. La famiglia Carmelita, una delle più importanti del paese, abitò la casa sino alla fine degli anni Cinquanta, dopodiché lo stabile fu abbandonato fino ai lavori di ristrutturazione, eseguiti tra il 1982 ed il 1983 dall’Amministrazione Comunale, che lo acquistò e destinò a Museo Archeologico Comunale.  Nel corso degli anni l’edificio, che si sviluppa intorno ad una corte chiusa in acciottolato nella quale è stato ricavato un pozzo, è stato sottoposto ad ulteriori interventi di ampliamento, l’ultimo dei quali tra la fine del 1999 ed i primi mesi del 2000: tali lavori hanno permesso di diversificare e potenziare i servizi offerti, in prospettiva di una costante crescita e maturazione dell’offerta culturale.  La costituzione del Museo infatti fu dettata dall’esigenza di garantire una collocazione adeguata ai ricchi ed importanti materiali, tra cui numerosi manufatti di importazione greca e centro-italica, proviene dall’insediamento rurale di età punica di Santu Teru.  A questo abitato era connessa la necropoli a camere ipogeiche di età punica e tardopunica di Monte Luna, da cui provengono i ricchi corredi che confermano l’esistenza di una fiorente comunità. I corredi funerari sono costituiti da anfore, brocche, coppe, piatti, lucerne e bruciaprofumi, ma sopratutto da monili in oro, argento, bronzo e ferro, alcuni dei quali di pregevole fattura. Numerose le collane e gli amuleti in pietra dura, avorio, vetro, pasta di talco e pasta vitrea, e gli scarabei in corniola e diaspro verde.  La rassegna dei materiali è arricchita dalla ricostruzione di una deposizione in anfora (a ”enchitrysmós”).  Completano il percorso espositivo, corredato da pannelli didattici anche in inglese, una sezione etnografica che ricostruisce una tipica cucina campidanese e un ambiente per le mostre temporanee. Il museo raccoglie le testimonianze archeologiche provenienti da un territorio abitato sin dall’età preistorica ma profondamente modificato dalla politica latifondista di Cartagine. Il pezzo forte della collezione è costituito dagli scarabei e dalle oreficerie.

 

L’insediamento sorse alla fine del VI secolo a.C., nell’ambito della politica di penetrazione verso l’interno portata avanti da Cartagine dopo la conquista della Sardegna. Si sviluppò in seguito, divenendo un fiorente centro di raccolta delle ricche risorse agricole della Trexenta.  L’abitato, ancora non interessato da scavi sistematici, è localizzato sull’altura di Santu Teru (San Teodoro). L’acropoli era circondata da una cortina muraria difensiva a pianta pressoché trapezoidale, rafforzata da alcune “opere avanzate”. All’esterno di queste sono state individuate delle abitazioni accanto alle quali probabilmente erano localizzate officine fusorie, come suggerito dal ritrovamento di numerose scorie metalliche.  Della necropoli, addossata alle pendici della vicina collina di Monte Luna, sono state scavate più di 100 tombe. La tipologia tombale maggiormente attestata è quella a pozzo, con camere laterali aperte sui lati brevi, anche se non mancano varianti.  Le camere sepolcrali, singole o doppie, che si aprono sui lati del pozzo, sono dotate di un soffitto orizzontale a botte o a spioventi. Generalmente hanno pianta rettangolare o trapezoidale e sono talora munite di banchette sui lati.  All’interno di una camera funeraria è presente una vaschetta votiva circolare, mentre più spesso sulle pareti si aprono nicchie rettangolari.
In alcuni ipogei si conservano tracce di decorazioni pittoriche eseguite con ocra rossa, raffiguranti festoni, bande, motivi geometrici e lineari.  Gli altri tipi di tombe sono a fossa dotate di gradini sulle pareti, a fossa terragna semplice, a cassone con lastre di rivestimento, a loculo e ad “enkytrismós” (cioè entro anfore).  Le tombe più superficiali talvolta erano accompagnate da cippi o tumuli troncopiramidali che fungevano da segnacoli per le sepolture.  Tra i reperti di corredo tombale, in parte visibili nel Museo Archeologico Comunale di Senorbì, sono da segnalare i numerosi amuleti realizzati in talco, pasta silicea, metallo, osso e vetro. Sono attestati in particolare il serpente ureo, l’occhio di Horus, il leone, il falco e altri configurati con parti del corpo umano e d’ispirazione egizia. Si rinvennero anche numerosi scarabei in corniola, diaspro verde e calcedonio, che, incastonati in montature d’argento, venivano utilizzati come pendenti o inseriti in anelli d’oro. Le tombe hanno restituito anche raffinati oggetti in osso e in vetro e numerose monete.  Gli oggetti di maggior interesse sono però i gioielli, che testimoniano la ricchezza degli abitanti del piccolo insediamento. I monili, prodotti in Magna Grecia o di raffinata fattura punica, sono in oro, argento e bronzo: anelli semplici e a castone fisso o mobile, orecchini a sanguisuga, diademi, vaghi di collana, bracciali.  Allo stato attuale delle ricerche, l’insediamento risulta essere stato abbandonato nel III secolo a.C.