Nel corso del mio peregrinare lungo le strade della Sardegna ho avuto modo di viaggiare con tutti i mezzi di trasporto isolani, e potrei raccontarne delle belle. Niente però è paragonabile ai viaggi fatti con la lettorina, il trenino che collega Nuoro a Macomer.

 

A chi non ha avuto la fortuna di spostarsi con questo mezzo di trasporto posso solo dire che è come fare un salto all’indietro nel tempo, o come essere protagonisti di un film ambientato nel Far West. Non che in Sardegna siamo abituati a spostamenti superveloci (il mio ultimo viaggio in pullman ad Alghero è durato quattro ore, come un viaggio ordinario da Parigi a Ginevra), ma viaggiare con la lettorina fa davvero fermare il tempo.

 

La stazione stessa non ha niente a che vedere con le stazioni globalizzate di Trenitalia, tutte uguali fra di loro. Nelle stazioni delle Ferrovie della Sardegna (che tutti continuano a chiamare complementari nonostante dal 1989 non si chiamino più così) ci sono ancora i sedili in legno e i tavoli massicci negli uffici del personale. Fino a qualche decina d’anni fa nella sala d’aspetto si poteva trovare il caminetto con un bel fuoco scoppiettante al posto dei moderni termosifoni.

 

Quando arrivi in stazione a Nuoro trovi il trenino che ti aspetta con le porte spalancate e l’inconfondibile insegna in metallo con su scritto Macomer. Non che si possa definire proprio treno, meglio sarebbe chiamarlo soltanto vagone, visto che è uno e unico.

 

Puoi salire e metterti comodo, aprire i finestrini se fa caldo (ma l’aria condizionata funzionerà? Non ho avuto la fortuna di sperimentarlo).

La carrozza anni Trenta si mette in movimento con lentezza, traballando sulle rotaie, e prende velocità fra scossoni e sussulti, iniziando il lungo viaggio che la porterà ad attraversare una decina di paesi.

 

Questa linea Nuoro-Macomer è una linea a scartamento ridotto (la distanza tra le rotaie è minore rispetto allo scartamento ordinario), nata da un progetto di Cavour reso poi esecutivo dalla legge Depretis nel 1879. Doveva servire allo sviluppo politico-economico dell’industria siderurgica e del legname. Successivamente questo mezzo di locomozione fu usato per collegare le coste al centro dell’isola dando un aiuto per lo sviluppo dell’economia dei paesi interni.

 

Lawrence nel 1921 ebbe a dire: ”È una strana ferrovia. Sfreccia per le colline e giù per le valli attorno a curve improvvise, con la massima noncuranza…”.

 

Non aveva tutti i torti. Nel costeggiare lo strapiombo appena fuori Nuoro vedo una donna anziana coprirsi gli occhi ed evitare di guardare, per vertigine. La littorina piega a manetta in curva, incurante della paura della donna.

 

Se volessi mettermi a leggere non potrei farlo, gli scossoni sono tali da costringermi a tenermi ancorata al bracciolo del sedile. Del resto è impossibile fare qualsiasi cosa: il frastuono del treno è tale che per fare una chiacchierata devi urlare, mettendo in pericolo le tue corde vocali. Non che questo sia un impedimento per gli studenti, che schiamazzano felici contribuendo ad aumentare il caos. Alcuni uomini chiacchierano a volume altissimo, dando l’impressione di litigare.

 

Anche ascoltare musica si rivela impossibile: il volume del lettore CD è al massimo, eppure non riesco a sentire quasi niente, in mezzo al frastuono della macchina e alle urla dei passeggeri.

 

Alcuni studenti, evidentemente stanchi per la giornata trascorsa fuori casa, ne approfittano per dormire riversi sui sedili, lo zaino come cuscino.

Il viaggio è lungo: un’ora e un quarto. Si ha modo di dare uno sguardo al paesaggio, che si stende assolato e deserto. Un panorama selvaggio, in cui sono inseriti gli alberi di quercia piegati dal vento, i greggi di pecore e le mandrie di cavalli al pascolo, uno spaventapasseri vestito di stracci, i nuraghi semidistrutti in cima alle colline.

Le case cantoniere nelle stazioni sono vuote e silenziose, non mostrano segni di vita, forse sono abbandonate da anni. Non tutte, però… In qualcuna vedo tendine alle finestre aperte, e panni stesi che sventolano al sole. A volte, al passaggio del treno, viene fuori una donna in grembiule che saluta con la mano.

 

Anni fa, nella casa cantoniera vivevano famiglie numerose, che coltivavano gli orti del circondario e allevavano il maiale e la capretta per il latte dei bambini. La mattina il cantoniere si alzava alle quattro per andare al passaggio a livello a chiudere il cancello in legno prima del passaggio del treno.

 

Il treno riparte con calma da ogni stazione. Scende qualcuno, qualche volta addirittura sale qualche passeggero. Ad ogni fermata il bigliettaio scende per manovrare qualcosa (gli scambi?): apre degli sportelli in ferro, muove qualche leva e richiude. Poi risale in treno e dice al conducente: ”Vai!”. Naturalmente urla anche lui, perchè il frastuono altrimenti gli impedirebbe di farsi sentire.

 

Arriviamo alla stazione Tirso, persa in mezzo alla campagna nella sua desolazione: binari sconnessi, treni abbandonati e pieni di ruggine. In passato era la stazione di diramazione per la defunta linea Tirso-Chilivani. Questa linea, costruita fra il 1888 e il 1894 per collegare la linea di Nuoro al nord dell’Isola, era lunga 79 chilometri. Venne chiusa nel 1969 ma sopravvive il suo fantasma: chilometri di binari ancora posati e quasi tutti i fabbricati e le opere civili. Sui binari marciscono le vecchie carrozze in legno e le antiche Littorine Fiat del 1935, pezzi da museo ormai, insieme a numerosi carri merci abbandonati. All’interno di qualcuno di essi sono cresciute piante e alberi, altri sono ribaltati.

 

Sulla cima del colle spicca una piccola chiesa in rovina. Tutto è in abbandono, viene da pensare ad un villaggio fantasma, però nessuno ci fa caso, i viaggiatori abituali conoscono a memoria il paesaggio.

 

Le persone che viaggiano ogni giorno sono diventate ormai una piccola famiglia, si conoscono tutte fra di loro e scherzano con i macchinisti raccontandosi la giornata trascorsa. Il clima è molto familiare, non sono lontani i tempi in cui il passeggero che saliva sul treno tirava fuori dalla bisaccia pane, formaggio e vino e ne offriva agli altri viaggiatori.

 

I disagi sono tanti, il viaggio è scomodo. In altri treni si viaggia meglio, decisamente, ma non si ha la possibilità di ammirare questi paesaggi nè di stabilire gli stessi rapporti umani. In quale linea ferroviaria il personale della stazione si premura di tenerti d’occhio i bagagli o di aiutarti a trasportarli? O di telefonare al collega per chiedere che ritardi la partenza di un pullman per darti modo di non perdere la coincidenza? Qui succede. E succede anche che, vedendoti disperata perchè non ci sono coincidenze e dovrai aspettare sotto il sole cocente per due ore, il macchinista si offra di darti un passaggio visto che comunque va nella tua stessa zona.

 

Su questa linea queste cose succedono, e compensano i disagi del viaggio. Qualcuno dice che la lettorina verrà soppressa entro breve. Sarà vero? Se così fosse sarebbe un peccato, perchè si perderebbe una parte della storia della Sardegna centrale.