Non ha l’aria dello stregone. Quello che in un antro scuro gira e rigira un misterioso pentolone fumante. Eppure, Elio Fanutza è capace di una grande magia: colorare fili di lana e tessuti con le tinture naturali. Nel Basso Sulcis erbe e piante spontanee offrono una gamma vastissima di tonalità. Elio conosce il territorio come pochi e la sua grande passione per la natura lo ha portato  a studiare l’utilizzo delle varie essenze vegetali per la produzione di preziosi distillati, per rendere unici alcuni piatti tipici della cucina sulcitana ed infine per tingere i tessuti come si faceva una volta.

 

La sua virtù principale e la forza di volontà, che gli ha permesso di affrontare molti ostacoli e qualche invidia. Diploma di geometra, alcuni anni di studio universitario in chimica farmaceutica e biologia, il servizio militare e l’avvio di un prestigioso ristorante etnico, dove si mangiano i ravioli alla borragine o all’ortica, la capra al serpillo, le frittelle con fiori di sambuco e persino il gelato ai funghi (anicini). Per non parlare della selvaggina al profumo di elicriso. Nel suo DNA c’è l’amore per la natura: le impervie montagne di Nuxis, le mille varietà di erbe, le piante spontanee, le radici, la frutta selvatica, i funghi.

 

Elio, come s’è manifestata questa passione?

 

Lavorando insieme a mio padre. Era un minatore, ma nel tempo libero coltivava un nostro terreno. Mi piaceva aiutarlo. Mi ha insegnato a fare gli innesti, gli incroci, a distinguere le varie specie vegetali, a rispettare ogni filo d’erba. Tutto ciò mi ha appassionato sin da bambino.

 

Da chi hai appreso i segreti sull’utilizzo delle piante?

 

Dagli anziani del paese. Quando ero bambino si stava ad ascoltare per ore. Era l’unico modo per conoscere le cose della vita. Spesso i vecchi parlavano delle piante. Ognuno aveva un piccolo segreto per curare i mali del corpo e dello spirito. Piante ed erbe, inoltre, erano l’unico mezzo per colorare i tessuti.

 

Quali piante erano utilizzate nel Basso Sulcis?

 

Nella nostra zona non c’era l’esigenza di grandi varietà di colori. In pratica si utilizzava solo il nero per i tessuti destinati agli uomini (orbace) e qualche colore più vivo per le donne. A S. Antioco, Nuxis e Santadi si tingevano anche tessuti di rosso. Nella cittadina lagunare si utilizzava il murice per ottenere il rosso porpora. Ma era riservato ai più ricchi. Gli altri dovevano accontentarsi della robbia (rubia tinctorum), nel Sulcis appoda appoda. Qualcuno usava anche le foglie periferiche della cipolla rossa.

 

Il nero, invece, come si otteneva?

 

In genere dal melograno. Si utilizzava tutta la pianta: radici, scorza, buccia del frutto. Il verde, invece, si otteneva da piante fogliarie. Il giallo oro con l’alaterno (in sardo, tasulu). C’è una tradizione terapeutica legata a questo colore. Il giallo alaterno ha le stesse proprietà dei raggi ultravioletti ed era utilizzato come cromoterapia nella cura dell’ittero neonatale. In pratica si coloravano dei tessuti con i quali poi si avvolgevano i neonati che ne traevano un sicuro giovamento. Aggiungendo al giallo alaterno dei sali di rame (una volta si usavano delle monete di rame ) si ottengono delle fantastiche tonalità di verde. Anche il nero ottenuto dal melograno ha proprietà terapeutiche. I pescatori della laguna di S. Antioco usavano avvolgersi intorno alla vita delle cinture di lana, tinta di nero, per prevenire le congestioni. I principi attivi della pianta erano trasmessi, attraverso il sudore, al corpo che ne traeva grande giovamento.

 

Nelle spiegazioni di Elio Fanutza passato e presente s’intrecciano in modo indissolubile.  Ricorda gli insegnamenti degli anziani che raccomandavano di utilizzare la pianta solo quando era nella fase di riposo vegetativo e di colorare i tessuti sotto l’influsso della luna crescente. Lui stesso oggi sperimenta, studia, innova produce con l’aiuto di un piccolo gruppo di persone che ha deciso di cimentarsi nella produzione di tessuti colorati in modo naturale.

 

C’è un mercato che possa accogliere queste produzioni ?  

 

Si. Anche se si tratta di un mercato di nicchia. I prezzi dei manufatti sono molto alti. In questo territorio siamo ancora in fase sperimentale. Ho fatto dei corsi ed ho insegnato agli allievi i fondamentali di quest’arte meravigliosa. Ho cercato di costituire delle cooperative per avviare la produzione ma siamo ancora carenti per quanto riguarda la cultura del rischio d’impresa. Eppure la domanda è in continuo aumento. Spesso mi chiedono piccoli manufatti, tessuti, tappeti. Produco però solo a livello amatoriale.

 

Quali tecniche utilizzi per la colorazione dei tessuti?

 

Quelle della tradizione. Dopo la raccolta, le piante vanno spezzettate e lasciate a bagno per almeno una giornata. Si aggiungono poi dei sali (allume di rocca) che servono per sgrassare il tessuto e predisporlo ad accogliere meglio il colore. Si porta il tutto alla bollitura e si continua per un periodo che varia dalle due alle quattro ore. Il bagno colore ottenuto deve essere poi filtrato e messo da parte. Il tessuto intanto va lavato e sgrassato e introdotto con particolare attenzione nel bagno colore, portato a novanta gradi. Da venti  minuti ad un’ora di bollitura, poi lavaggio in acqua fredda. Infine il tessuto va fatto asciugare in luogo fresco e buio. In questa tecnica ho introdotto una piccola variazione. In genere distillo dalle piante gli oli essenziali poi ricavo il bagno colore dall’acqua di scarto della distillazione. È un procedimento che mi consente di sfruttare tutte le potenzialità della pianta.