La storia siamo noi, ma non è la solita frase retorica per sentirci protagonisti del presente, in questo caso serve per usare una lente di ingrandimento sulla storia passata, quella che è già stata fatta e raccontata partendo dai personaggi principali. Questa volta stingiamo le maglie dell’informazione per catturare una storia approfittando della ricorrenza del 9 maggio del 1978, giorno in cui venne ritrovato il cadavere di Aldo Moro. La situazione politica dell’epoca e il sequestro del presidente della Democrazia Cristiana sono stati raccontati da libri, film e documentari aprendo un caso giudiziario con risvolti ancora misteriosi.

Esulando dall’indagine giornalistica c’è la testimonianza di chi in quegli anni e in particolare in quei giorni prestava servizio a Roma. Ignazio Cuccu classe 1952, di Suelli, è uno dei tanti sardi che stavano a Roma in Polizia dopo la scuola di Abbasanta. Sono gli anni della banda della Magliana, del terrorismo e del compromesso storico, nei libri di storia ritroviamo tutto sotto il titolo “gli anni di piombo”. Cuccu è alla volante 24 e presta il suo servizio tra posti di blocco e pattuglie. A 26 anni è smilzo e ha i baffi come la moda del periodo consigliava, ha il coraggio dell’età e la diligenza che la divisa impone. A Roma dal 1974 è tra coloro che chiedono l’istituzione di un sindacato di Polizia arrivando a proteste eclatanti come il viaggio a sirene spiegate con i colleghi sino al viminale dove alcuni poliziotti verranno portati in Questura dagli stessi colleghi in servizio, anche per le forze dell’ordine era arrivato il momento della tutela dei diritti sul lavoro così come era avvenuto alla fine degli anni ’60 con il movimento operaio. Il 16 marzo del 1978 Aldo Moro viene sequestrato mentre si recava in parlamento per votare la fiducia al governo Andreotti, il governo frutto del compromesso storico tra Dc e Pci. Cuccu al volante dell’Alfa Giulia 1600 sta per accorrere in Via Fani dove giacciono le 2 auto e i cadaveri della scorta ma dalla centrale operativa riceve l’ordine di pattugliare la propria zona e svolgere posti di blocco. Da quel giorno la volante svolgerà servizio anche con uomini dell’esercito così come decise l’allora ministro dell’Interno Cossiga. Perquisizioni a tappeto ma di Moro neppure l’ombra. Intanto la politica si divide tra la linea della fermezza attuata da Dc e Pci che hanno escluso qualsiasi possibile trattativa con le Br e la necessità di salvare Moro come invece suggeriva il Psi.

Trascorrono 55 interminabili giorni di sequestro nel covo di via Montalcini. La mattina del 9 maggio la polizia intercetta una telefonata indirizzata ad un amico della famiglia Moro dove si indica il luogo in cui avrebbero potuto ritrovare il corpo del presidente Dc. Cuccu viene incaricato di portare sul luogo l’artificiere. L’auto, una Renault 4 rossa può essere esplosiva, non si ha la certezza che li ci sia Moro, l’artificiere sotto lo sguardo di Cuccu svolge il proprio lavoro tagliando la carrozzeria dell’auto evitando di innescare un possibile esplosivo nell’apertura di sportelli e cofano così come era avvenuto con altri attentati. I giornalisti accorsi si arrampicano sulle grate delle finestre, via Caetani si trova a metà strada tra la sede del Pci e della Dc, la strada della politica italiana si interrompe e Cuccu aiutato dai colleghi cerca di proteggere il lavoro dell’artificiere. Si apre il cofano e Cuccu trovandosi di fronte vede la mano del collega togliere la coperta sotto la quale giace il corpo di Moro. Il cuore batté a vuoto senza pompare sangue, racconta Cuccu. Gli attimi sono concitati, il tempo per emozioni e sentimenti non c’è nonostante la vicenda sia un bivio della della storia italiana. Il dispiegamento delle forze dell’ordine tra polizia e carabinieri permette a Cuccu di allontanarsi di corsa dalla Renault 4 tenendosi il cappello per riprendere la propria auto e riportare l’artificiere in caserma per poi scortare la salma di Moro all’obitorio del Verano. Quei 55 giorni di servizio che non lasciano il tempo di riflettere o di farsi travolgere dalla cronaca del momento. La storia ci consegna una vicenda definita e articolata mentre il vissuto dell’epoca lascia nei protagonisti la velocità dei fatti e l’impotenza di chi non è riuscito a fare nulla perché tutto ciò non accadesse. Se anche sul caso Moro ci fosse luce sarebbe bellissimo.