È cosa nota a tutti i cultori di filologia romanza e di linguistica neolatina che il lessema latino, di epoca classica, insula «isola fluviale, lacustre e marina» in età tardo imperiale si era trasformato in iscla, attraverso le forme *isula, *isla, *iscla. E da questa forma sono infatti derivati i nomi di varie località italiane chiamate Ischia, nonché il sicil. iska «isola fluviale» e «terra irrigua », calabr. iska «striscia boscosa e cespugliosa lungo un fiume», l’irpino iska «terreno irriguo o presso l’acqua», il trent. iscia «giuncheto».

Anche nel sardo è entrato il lessema latino, prima nella forma medioevale iscla e poi negli attuali iscra, isca, íscia «zona coltivabile presso fiumi, zona di orti, zona di aiole, aiola» (centr., logud. e campid.).

Però nella conservativa Sardegna si conserva del nostro lessema non solamente la citata forma medioevale iscla, ma anche il suo originario significato di «isola». A Nùoro infatti si dice ancora bentu ‘e Iscra Ruja «greco, grecale» (vento di Nord- Est), letteralmente «vento dell’Isola Rossa» (quella situata nel Mar Tirreno a Sud di Capo Coda Cavallo, la quale risulta proprio a Nord-Est del Nuorese). Inoltre nella media valle del fiume Tirso, fra Bolotana ed Ottana, esiste il toponimo Iscras, che si deve ovviamente interpretare come «isole», quelle che faceva il fiume quando allagava la pianura. Ed anche più a monte del fiume, in territorio di Illorai, il toponimo Iscra va interpretato meglio in questo medesimo modo. In Sardegna esiste anche il lessema ísola, ísula «isola», che il Wagner ed anche io abbiamo interpretato come un cultismo di origine italiana. Senonché, senza negare questa tesi almeno in linea generale, mi sono di recente convinto che in Sardegna esista il lessema anche come sviluppo popolare, cioè arrivato direttamente dal latino. Nella fortemente conservativa Baronia di Orosei, infatti, e precisamente sulla foce del fiume Cedrino, esistono tre isolette fluviali che vengono chiamate ísulas.

Oltre a ciò a Nùoro si preparano tuttora i coconèddos d’ísula, che sono dolciumi preparati per le feste e costituiti da un bastoncino di pasta dolcificata piegato a forma di theta greco maiuscolo e dunque fatto come due “isolotti” circondati dai meandri di un fiume. Questa locuzione era stata già segnalata da Luigi Farina, ma non tentata di spiegare in alcun modo.

La contemporanea esistenza nella lingua sarda sia della forma classica i(n)sula del nostro lessema, sia di quella tardo imperiale iscla non costituisce per sé alcun problema. Evidentemente si tratta di forme arrivate in Sardegna in due differenti ondate di latinità. La quale cosa trova riscontro in almeno altri due casi di lessemi latini entrati nel sardo: ad esempio, lat. hastula/ hastla/ hascla «asticella» da cui sono derivati i sardo-centrali ástula ed ascra «scheggia di legno»; lat. cauma/* calma «ardore, vampa» da cui sono derivati i sardi cama e cálama «calura estiva, caldo soffocante»(6). Giovan Battista Pellegrini, nella sua importante opera Toponomastica Italiana(7), fra i numerosi toponimi italiani derivati dal lat. insula/iscla, cita anche Iselle del comune di Trasquera, in provincia di Novara. Il toponimo Iselle esiste anche in Sardegna, nel territorio comunale di Buddusò (SS), ma non ha nulla a che fare con Iselle del Piemonte, salva una perfetta omofonia, però del tutto casuale. Il toponimo sardo è invece da collegare con gli altri Iseddè (Lodè, NU), Isalle e Isallái (Dorgali, NU) e tutti e quattro sono quasi certamente prelatini e protosardi, finora di significato ignoto.