Il popolo sardo ha avuto nei secoli una dolorosa esperienza di febbri, da quelle tipiche della malaria a quelle della melitense, o ”maltese” che dir si voglia. Naturale, dunque, che ne sia rimasta traccia nel patrimonio proverbiale. Più arduo azzardare il tempo dell’acquisizione di questo detto, per la presenza della figura del leone nel testo del proverbio, a meno che non si prenda il sostantivo come riferimento metaforico a un corpo vigoroso per antonomasia, al di là della citazione specifica. Una constazione, più che altro, a rimarcare la potenza delle febbri sul fisico umano. La veste formale di questo fortunato assioma affida alla musicalità di un singolo verso le sei parole del testo. Quando il metro scelto è l’endecasillabo, come nel caso in esame, si ha uno strumento tra i più sicuri e collaudati. Dovessimo fare un elenco dettagliato dell’uso di questo metro nei proverbi del popolo sardo, ci accorgeremmo immediatamente di quanta fortuna abbia goduto il verso di undici sillabe, uno dei più utilizzati nella poesia, soprattutto in quella orale. A s’istògomo est durche su ch’est ràntzigu a buca Ciò che è amaro per la bocca è dolce per lo stomaco Anche le medicine erano amare e in parte lo sono ancora oggi: segno evidente