Uno spicchio di orologio dedicato a conoscere una delle realtà più importanti della solidarietà sarda nell’ultima sera del 2013 che volge al termine per conoscere, capire e far conoscere il volontariato. Ospiti di don Marco Lai che positivamente ha accettato la nostra visita, la prima rampa di scale è quella che conduce alle cucine dove mi accoglie la signora Cristina, coordinatrice della mensa. C’è chi taglia il panettone e il pandoro a fette, chi si occupa del pane e della verdura, qualcuno pulisce, il cuoco prepara i vassoi. Azioni quotidiane di una mensa come tante, persone normali che realizzano qualcosa di speciale. Tra i volontari le esperienze sono diverse: Anna è volontaria da 10 anni, l’esercizio della fede l’ha portata a mettersi al servizio di questa grande comunità, ci sono 3 giovani che per la prima volta entrano nella struttura di Viale fra Ignazio, studiano a Milano ma desideravano trascorrere questa sera in modo utile. I pasti caldi sono preparati da Massimo, cuoco professionista e volontario in altri campi sin dalla giovinezza. Un servizio per chi ha bisogno, dove ognuno da quel che può, non ci sono molte parole per descrivere la generosità tradotta in azione. Prima di lasciare le cucine tra la pasta fumante e il profumo del panettone riesco a parlare con Pino, divenuto volontario dopo essere andato in pensione. Una vita in fabbrica lontano dalla propria Isola ma con la voglia di restituire al prossimo il meglio di se. Riprendo le scale e nel corridoio già qualcuno attende l’apertura della mensa portando con se quella fame di vita che non sarà il cibo a soddisfare ma le cure e l’attenzione a loro dedicata ogni giorno. In sala mi accoglie Enrico, il responsabile che mi presenta gli altri volontari tutti con i guanti in lattice perché per toccare il cuore delle persone bisogna avere le mani pulite. Sono tutti giovani, alcuni per la prima volta prestano il loro tempo in questo spazio di grande umanità. Enrico mi racconta la sua esperienza nel volontariato ma dice giustamente che non c’è bisogno di nessuna vetrina per raccontare ciò che si fa alla Caritas, non solo alla mensa ma in tutte le attività curate. Enrico dice che il modo migliore per capire cosa significa essere generosi non sarà solo leggere questo articolo ma invitare ciascun lettore a diventare volontario. Quale miglior invito se non quello di togliermi il cappotto e lasciare da parte penna e taccuino, indossare grembiule e guanti in lattice ed utilizzare cuore e occhi per scrivere e ribadire che il miglior modo per capire le cose è farle. Mentre servo ai tavoli portando il vassoio pieno di cibo non ho tanto tempo per le interviste, incrocio sguardi, disagi, vite trascinate dal tempo e dai problemi che ogni ospite ha con se. C’è il padre divorziato che oltre la famiglia ha perso le condizioni per poter vivere la propria vita, numerosi immigrati, alcuni non parlano l’italiano ma tra una richiesta di pane e il capire se la carne potesse essere mangiata da chi è musulmano sono riuscito a rispondere. Ci sono storie fatte per non essere vissute, che puoi ritrovare in un film o in un libro ma spesso quella storia abita nella tua stessa via. Vicende mai chiuse, problemi mai risolti. La distribuzione dei pasti prosegue con molto ordine, non mi accorgo neppure del tempo che passa, della quantità di persone che hanno già mangiato. La misura è segnata dalla pasta che è terminata e un nuovo vassoio sta arrivando dalle cucine. Non è la mensa di Oliver Twist dove è un rischio chiedere un po più di pasta o di carne, il piatto della generosità sarà colmo sino a quando quest’ultima non sarà terminata. I tavoli si svuotano, si ritirano gli ultimi vassoi rimasti, dalle cucine salgono per riprendere i contenitori e qualcuno che prima mi aveva visto fare domande sorride perché in quell’ora sono passato dalla loro parte, da chi non fa domande ma da delle risposte riempiendo un vassoio, una brocca d’acqua, portando il pane, poggiando un sorriso su ciascuno sguardo incrociato. Non abbiamo atteso la mezzanotte e non vi dirò quanti pasti sono stati preparati o quante persone hanno mangiato. Vi dico solo di andarci di persona per far si che questi ultimi diventino i primi. Vi accorgerete che solo lo spessore dei guanti in lattice sarà l’unica barriera artificiale tra voi e l’umanità.