Lo spopolamento progressivo del Medio Campidano è un fenomeno che va assunto da subito come problema politico generale perché provoca uno squilibrio che genera effetti devastanti non solo per le comunità ma per l’intera economia regionale. Senza un Piano straordinario che dia delle risposte alla crisi i territori continueranno inevitabilmente a spopolarsi, sopraffatti dalla povertà. Come è noto, nel 2012 quasi 1 giovane italiano su 4 nella fascia d’età 15-29 anni non studiava e non lavorava, di cui ben più di 1 su 2 sono residenti nel Mezzogiorno. Questi giovani sono quasi 2 milioni e 300 mila. I problemi in Italia sono le disuguaglianze, la disoccupazione a livelli record e la povertà che aumenta. Siamo di fronte ad una catastrofe sociale.  Si crei lavoro e si dia una mano a chi non ce la fa.  Bisogna sbloccare il patto di stabilità, una camicia di forza anti impresa e anti cittadino, per sostenere gli investimenti pubblici per dare lavoro e garantire un reddito sociale per i più bisognosi.  E’ arrivato il momento per dire che è necessario importare meno derrate alimentari.  Abbiamo il dovere di rendere, senza indugio, produttive le nostre campagne; le terre pubbliche incolte vanno censite e assegnate ai giovani che intendono coltivarle. Nulla deve rimane intentato.  Alla fine del 2013 gli occupati in Sardegna erano 538 mila, il 49% contro il 55,6 della media nazionale. Il numero dei disoccupati raggiunge le 119 mila unità, con un +6%. Dalla fine degli anni novanta si è come sbriciolata lentamente e irreversibilmente la capacità di affrontare le questioni della programmazione dello sviluppo. Non si è più considerato il territorio come risorsa. Il mondo intellettuale e politico che aveva esercitato fascino in tutta la Sardegna ha perso la capacità d’incidere. Si pensava alla riorganizzazione del territorio, poi tutto ad un tratto siamo diventati succubi del neoliberismo. Siamo diventati imitatori o seguaci di questo o quel personaggio mettendo in soffitta Gramsci, Lussu, Berlinguer, Mario Melis come se la politica identitaria avesse finito la sua funzione propulsiva. Ci siamo affidati nel silenzio della politica e soprattutto della cultura, al libero mercato e oggi siamo un popolo di consumatori incapaci di difendere la nostra economia. Per questo la madre di tutte le battaglie che dobbiamo combattere è quella per il recupero della cultura. La prima linea di questa battaglia è il mondo della scuola. Fino a dieci anni fa la Sardegna era una delle regioni italiane con il più basso livello di abbandono scolastico, oggi questo dato si è completamente rovesciato. I livelli di abbandono sono intorno al 35-37% contro una media nazionale del 28%. In alcune zone, tra le quali purtroppo anche il Medio Campidano, queste percentuali salgono fino a sfiorare il 40%.  Questa è la dimostrazione che la condizione socio economica isolana è entrata in profonda crisi. La scuola è fondamentale per far crescere lo spirito di appartenenza dei giovani al luogo in cui sono nati, come lo è per far capire che il territorio è una risorsa fondamentale su cui investire.   “La scuola è presidio civile, sociale e culturale e luogo di elezione per la creazione di capitale umano. Perdendo la scuola il territorio è quasi naturalmente destinato all’abbandono e alla compromissione delle proprie capacità di sviluppo.  La scuola, come istituzione, dovrebbe assolvere essenzialmente a tre funzioni. La prima, fondamentale, è quella di “attrezzare” i giovani, e quindi di fornirgli una formazione adeguata che gli garantisca la libertà sostanziale, secondo Amartya Sen, di decidere se restare o andarsene. Non si creano le scuole per far rimanere gli studenti nei luoghi di nascita, ma piuttosto per renderli liberi di scegliere dove andare. La seconda funzione della scuola dovrebbe essere, poi, quella di fornire ai ragazzi gli strumenti per dare un senso, anche produttivo, a rimanere nella loro terra di nascita. Si tratta di una formazione mirata alle particolari attitudini e competenze che sono necessarie ai lavori a forte identità locale. La terza funzione della scuola dovrebbe, infine essere, quella di centro civico. Sei mesi fa la Commissione Europea ha adottato due nuovi regolamenti sugli aiuti d’importanza minore “de minimis”, compreso uno specifico per il settore della produzione primaria di prodotti agricoli che porta da 7.500 a 15.000 euro il tetto per il settore. Tutte le misure che soddisfano i criteri individuati dai due regolamenti non costituiscono aiuti di Stato e, pertanto, non devono essere notificate alla Commissione prima della loro attuazione.  Per favorire la ripartenza dell’economia il ruolo del territorio è fondamentale. Occorre una politica che funzioni e che non faccia favori. Più vicina alla gente. Serve una burocrazia efficiente. Occorre che alla testa dei processi ci siano delle persone disposte a lavorare per il bene comune e non per la ricerca di un posto al sole attraverso la politica.