Faceva freddo. Un freddo così intenso, in quasi trentaquattro anni di vita, non lo aveva mai conosciuto, Luiseddu. O forse sì, ma se così era stato doveva averlo provato di sicuro quando era bambino e andava appresso al bestiame a piedi nudi. Non ricordava. Si coprì con l’orbace, che nei giorni di gelo più intenso gli faceva anche da coperta, e strinse le braccia sul petto. Provò un po’ di sollievo. Tornato soprappensiero, dopo, riflettè su come della sua infanzia, un’infanzia adulta di duro lavoro, di sacrifici e di privazioni, non ricordasse quasi niente in fondo, quasi niente di gioioso, di leggero e di fatuo.

A Luiseddu piaceva, ogni tanto, stare così a pensare, farsi prendere e trasportare dalle intemperanze della mente anche quando essa compiva circonvoluzioni inconcludenti. Ciò capitava soprattutto quando si metteva a sedere nello spiazzo esposto al sole che stava davanti alla capanna di pietre e antichi tronchi di ginepro che con tanta pazienza, in cima alla montagna, al riparo da occhi indiscreti, giorno per giorno in quegli ultimi mesi, aveva costruito e reso confortevole.

La capanna, coperta da frasche di corbezzolo, si trovava incuneata perfettamente tra massi quasi per intero nascosti dalla vegetazione di quell’impervio versante del monte. Seduto su quella pietra che pareva scolpita apposta perché ci si potesse comodamente adagiare, Luiseddu riusciva con lo sguardo a dominare tutta la valle di Bentenibe. Osservava, poco sotto e per un buon tratto, il bosco di lecci che sapeva popolato dai cinghiali, più in basso rocce dai riflessi ora rosati ora di colorazione argentea, tratti scoscesi, intrecci inaccessibili di lentisco che si alternavano a terreni adibiti a pascolo. Luiseddu poteva scorgere greggi in transito che lontane com’erano apparivano miniaturizzate, qualche ovile isolato, radure assolate e vecchi ginepri solitari piegati dal vento. E poi il mare, quel segmento azzurro chiaro che compariva all’orizzonte solo nelle belle giornate. Solo lì Luiseddu, con attorno le querce secolari di quel posto per uomini in fuga, si sentiva al riparo.

Ad Annetta Verdès Luiseddu aveva voluto un bene dell’anima. Si sarebbero dovuti sposare, lui aveva promesso, una domenica di primavera. Era molto giovane, Annetta, e presto, dopo il fidanzamento, aveva iniziato, secondo lui inspiegabilmente, a fare le bizze e, per dirla in breve, a comportarsi come si comporta la donna che non vuole più saperne di un uomo. Si sentiva inquieto, stanco; per un pò, per via di quella quasi subliminale, inafferrabile sensazione che gli suggeriva di non sbagliare, si comportò cautamente. Si rifugiò nel lavoro per non pensare, usciva la mattina prestissimo e rincasava tutti i giorni a notte fonda per evitare qualsiasi incontro.

Ma poi fu lui a prendere l’iniziativa di infrangere quel legame di fidanzamento. Lo fece per fatti concludenti, senza dare spiegazioni ad alcuno o intrattenersi in convenevoli con chicchessia: non volle parlarne con i fratelli di lei, soprattutto, perché si era messo in testa che essi già conoscessero la volubilità e la mutevolezza dei sentimenti di Annetta, ancora poco più che adolescente. Si era convinto che avrebbero capito e accettato. Avvezzo com’era alla solitudine del pastore, ringraziò Dio per essere tornato solo. Aveva rotto la promessa; nel prendere quella decisione, peraltro, egli non aveva riflettuto abbastanza sulle possibili conseguenze che quel gesto avrebbe potuto comportare…

Passò del tempo. Dalla famiglia di Annetta arrivarono segnali quasi impercettibili ma per lui inequivocabili. Capì che era troppo tardi per dare agli offesi giustificazioni sul suo comportamento, talmente tardi che non poté far altro che rifugiarsi in un posto che lui riteneva sicuro, lontano dal villaggio, nella speranza di riuscire a trovare presto una soluzione che lo riappacificasse con i Verdès.

*

Caterina non incontrò nessuno, non fino alla piazzetta de Sas Animas, almeno, da dove poco più tardi sarebbe dovuta ripassare prima di incamminarsi per la montagna.

Sulla destra, in fondo al vicolo che saliva dalla piazza, intuì la sagoma di un ubriaco che faceva i conti con il malessere dovuto al troppo vino ingurgitato.

Arrivò dopo pochi passi nei pressi della vecchia casa di Mannai Pira, ora adibita a magazzino, raggiunse il portale massiccio della casa e vi si infilò. Andò a tentoni per un po’, nel buio, finché non trovò l’appoggio che le occorreva per salire quelle scale ancora solide. Il servo pastore Andria era appena tornato dal frutteto di Reichinas, così le disse, dove aveva passato la notte.

Caterina prese la bisaccia di Andria ormai vuota, vi mise del pane, del formaggio e dell’altro cibo bastante per almeno una decina di giorni. Uscì quasi subito e con circospezione prese la strada per l’uscita del paese. Luiseddu vide arrivare sua sorella che erano le otto del mattino. Dal suo angolo visuale preferito osservò Caterina arrampicarsi e mentre gettava lo sguardo in direzione dei sentieri e degli anfratti alle spalle di lei sperò che nessuno l’avesse seguita.

Quando lo ebbe di fronte la donna si stupì di vedere quella ruga sul viso che Luiseddu nel sorridere aveva messo in mostra; le era apparso come un presagio funesto quella specie di lungo taglio che sotto i riflessi della luce del primo sole del mattino sembrava sanguinare. Caterina rifletté sul fatto che lei, quella ruga sul volto di Luiseddu non l’aveva mai notata prima d’allora. A sera, mentre tornava in paese, i pensieri cattivi si impadronirono di lei ed ebbe paura.

Calato il sole, quei due uomini nascosti tra i cespugli si mossero nell’oscurità facendosi guidare dalla flebile luce di candela che promanava dalla capanna di Luiseddu; lo sorpresero mentre si preparava per andare a dormire e l’esecuzione fu spietata, rapida e sicura.

Udita l’eco dei colpi di fucile Caterina si segnò e cominciò silenziosamente a piangere suo fratello.