Le storie d’amore non fanno grande notizia. Eppure, nel loro essere una piccola goccia nell’oceano, contribuiscono a rendere un po’ meno amaro questo nostro difficile mondo. E ci aprono gli occhi sul valore assoluto della solidarietà, che non ha colore né lingua né nazionalità e opera oltre qualsiasi confine, dove c’è bisogno di lei. Marika Mura è di Macomer e ha 27 anni. È un ragazza tenera, solare, energica e piena di entusiasmo. Una valigia e un biglietto aereo per l’Africa danno una svolta importante alla sua vita, che si arricchisce di una straordinaria esperienza umana in una terra dalle mille contraddizioni. Laureata in lingue e specializzatasi a Manchester con un master sulle crisi alimentari nella S.A.D.C. (Southern African Development Community), nel luglio del 2010 Marika accetta una proposta importante. Aderisce al progetto di una organizzazione non governativa grazie alla quale parte per prestare opera come volontaria in un piccolo villaggio. Destinazione Tanzania.

 

– Scegliere di partire da sola per un paese così lontano non è facile. Cosa ti ha spinto a farlo?

 

Ho sempre avuto una grande passione per l’Africa, che ho coltivato attraverso gli studi, e da tempo aspettavo l’occasione giusta per partire e sperimentare sul campo le cose apprese sui libri. Quando mi è stata chiesta la disponibilità a prendere parte ad un progetto di sviluppo, ho detto sì d’impulso, senza rifletterci troppo, tanto che ho realizzato ciò che mi attendeva solo quando mi trovavo sull’aereo.

 

– Quali sono state le impressioni all’arrivo?

 

Pensavo di non giungere mai a destinazione. Dopo due ore di autobus e una di moto sono arrivata a Kwala, un semplice villaggio di capanne situato nella zona interna, a 80 kmdalla cittadina di Dar es Salaam. Una minuscola realtà in cui non ci sono macchine né acqua corrente. L’elettricità è un bene di lusso, il caldo costante e la sabbia o il fango durante la stagione delle piogge contribuiscono a renderlo un luogo faticoso e scomodo. A rendere tutto un po’ più romantico e primitivo ci sono gli spostamenti in motocicletta, la raccolta quotidiana dell’acqua e il dover fare il fuoco per cucinare, tutte cose nuovissime rispetto alle nostre comode realtà.

 

La vita a Kwala è completamente diversa da quella della Sardegna. Cosa ti ha aiutato a superare le prime difficoltà?

 

Ogni piccolo disagio è stato cancellato dalla grande vitalità della popolazione indigena. La musica non manca mai come anche i mille saluti tra la gente che si incontra per la strada. I bambini corrono scalzi da una parte all’altra e ti si avvicinano, vogliono essere presi in braccio oppure fotografati, ti sorridono felici. Ero partita con l’idea di prendermi del tempo per ritrovare me stessa e leggermi dentro, ma questo viaggio ha completamente stravolto le mie prospettive. Ho iniziato a pensare agli altri e le mie esigenze sono lentamente svanite. I ragazzi in particolare sono diventati il mio obbiettivo.

 

– La tua attività principale è l’insegnamento…

 

Ho prestato servizio nell’istituto superiore di Kwala, in cui studiano ragazzi dai 13 ai 19 anni provenienti da più villaggi. Una scuola con un unico indirizzo suddivisa in quattro anni, nella quale si apprendono tutte le materie di base. Io ho insegnato inglese a tempo pieno. La lingua parlata in Tanzania è lo Swahili, ma l’istruzione secondaria è per legge impartita in inglese, in tutte le scuole e per tutte le materie. Questa lingua è fondamentale per l’istruzione, e se i ragazzi non sono in grado di comprenderla inevitabilmente non capiscono neanche ciò che viene loro insegnato.

 

– Quale importanza riveste l’istruzione in una realtà povera e difficile?

 

L’insegnante è una figura molto importante in Tanzania. Rappresenta un modello di riferimento ed è l’unica possibile alternativa alla vita dei campi e all’allevamento. Chi insegna fa le veci dei genitori dei propri alunni, assenti o disattenti rispetto all’educazione e al valore dell’istruzione. Gli allievi fuori sede vivono da soli dall’età di 13 anni, con tutte le difficoltà che questo comporta.

 

Immagino il tuo rapporto con i tuoi studenti: sei un punto di riferimento, una mamma, una sorella, un’amica.

 

Gli studenti riempiono le mie giornate. Mi chiedono di studiare la sera, alcuni vengono a casa per correggere gli esercizi. È triste pensare a questi ragazzi. Hanno tanta voglia di conoscere, di leggere, di studiare, eppure sono limitati dalla mancanza di insegnanti e di materiale didattico. La vita non è stata giusta con loro. Una vita segnata da morti precoci, dal crescere senza affetti imparando a badare a se stessi. Poco tempo per essere bambini”.

 

– Oltre ad insegnare, tu promuovi importanti progetti di sviluppo comunitario.

Inizialmente sono partita per l’Africa per vivere un’esperienza di soli due mesi. Ma in poco tempo la mia vita è cambiata così tanto che il desiderio di continuare le attività iniziate ha superato ogni ostacolo. Attualmente lavoro come project director per una ONG americana chiamata Newton Tanzania Collaborative che si occupa di sviluppo sostenibile e istruzione. Come organizzazione lavoriamo in collaborazione con la scuola elementare, la scuola superiore, il Comune e la clinica del villaggio. Non si tratta solo di innalzare il livello di istruzione dei ragazzi, ma anche di garantire loro opportunità per il futuro. Assicurare condizioni di vita basilari e servizi indispensabili come l’acqua, l’elettricità nelle scuole e nella clinica, programmi di sostegno a distanza e scambi culturali. Con minime donazioni si può contribuire al sostegno degli studenti di Kwala acquistando banchi per la scuola, materiale didattico, tessere sanitarie o semplicemente aiutandoli a migliorare la propria alimentazione”.

 

– Che cosa mangiano i tuoi bambini?

 

I ragazzi della scuola si nutrono unicamente di ugali, una specie di polenta bianca di farina di mais e acqua, accompagnata da fagioli sconditi. Questo ovviamente crea numerosi problemi alimentari, ed è fonte di scarsa produttività scolastica, debolezza fisica e quindi malattie e lento apprendimento. Tra i miei desideri c’è quello di permettere a tutti i miei studenti di studiare la sera senza sentire la fame, e vorrei che avessero penne, matite, quaderni e libri a sufficienza.

 

– Nonostante la miseria, la scomodità, le ingiustizie, cosa rende così speciale questo lontano villaggio?

 

Kwala è una realtà piccola ma intensa con confini limitati, di cui conosco ogni angolo. Guardare le stelle ha tutto un altro significato: ti senti una minima parte del tutto, un minuscolo puntino nell’universo eppure parte di esso. Ho sempre pensato che la felicità di ognuno di noi risieda nella felicità di chi ci sta attorno, è questo che mi ha spinto a proseguire la mia esperienza. Il fatto di sentirmi utile, il poter dare qualcosa agli altri e trasmettere le mie conoscenze, anche se piccole. Aprire gli orizzonti dei miei allievi che non hanno mai preso il treno o conosciuto altre realtà esterne al villaggio.

 

– A Kwala hai trovato qualcosa che ti ricordasse la Sardegna?

 

Il calore della gente e la cordiale ospitalità. Un invito a pranzo non manca mai, anche con poco si condivide ciò che si ha con grande generosità.

 

-Ripartirai a luglio per riprendere le lezioni con i tuoi studenti.

 

Sì. Loro mi dicono che sono africana dentro. Mi chiedo se sia vero e rido tra me. In fondo credono che i bianchi siano degli imbranati e non sappiano fare nulla. Io so solo sbucciare patate, cucinare preparando il fuoco, lavarmi i vestiti a mano e cucire.