p109n99Sos tiporios venin a sa pessone hi hontat sos isteddos, i porri vengono a chi conta le stelle; sas istizas venin a sa pessone hi si mutzat sas ungras in die de henapra, le pellicine periungueali si formano a chi si taglia le unghie il venerdì. Questo pensava una mia bisnonna (bisaia) materna Bebedda Carta, all’anagrafe Carta Maria Barbara, classe 1890, istanchera di Olzai. Suppongo che questa eziologia fosse accettata dalla maggior parte degli olzaesi di una certa età, almeno fino a tutti gli anni Cinquanta. In passato, quindi, la prevenzione di queste malattie consisteva nell’evitare il conteggio delle stelle e il taglio delle unghie nella giornata di venerdì.

 

Per le pellicine non esisteva alcuna terapia. Per le verruche si utilizzavano invece diversi approcci terapeutici: la medicina antica, sos verbos, o in alternativa una sorta di autoterapia o ancora l’applicazione locale del succo di alcune erbe e piante. Talvolta i sistemi terapeutici venivano associati. Sos verbos venivano praticati da persone del posto, donne o uomini, ai quali tutti potevano rivolgersi. Questi guaritori non richiedevano alcun compenso per la loro prestazione terapeutica. Non c’era una singola persona che con la medicina antica curava tutte le malattie ma per ciascuna malattia  bisognava rivolgersi a uno o più terapeuti ciascuno dei quali curava una sola malattia.

 

L’ iniziazione del terapeuta avveniva grazie a un anziano che conosceva la medicina e non intendeva più esercitarla. L’anziano terapeuta poteva a questo punto trasmettere la formula a una sola persona, più giovane di lui, che intendesse praticarla a chiunque e a titolo gratuito. La trasmissione della formula da parte del guaritore comportava la perdita del potere di praticarla che passava invece al discente. La medicina veniva esercitata nell’abitazione del terapeuta e consisteva nel recitare una formula, s’otatzione, e contemporaneamente nel passare sulla verruca una fetta di patata. Il terapeuta buttava alle sue spalle la patata utilizzata per il rito supponendo che il malato, nei giorni successivi, non sarebbe passato nel punto in cui veniva buttata la patata. Dopo di che il malato si congedava.

 

Dopo alcuni giorni le verruche scomparivano. Feci questa esperienza terapeutica personalmente con ottimi risultati. All’età di sette anni, erano comparse sulle mie ginocchia varie verruche e mia mamma mi accompagnò da un guaritore di Olzai, Pera Mameli, su comunista, che mi praticò la terapia e dopo alcuni giorni le verruche scomparvero. L’autoterapia consisteva nel prendere un giunco e nel fare con esso tanti nodi quanti erano i porri da eliminare. Il giunco così annodato veniva buttato alle proprie spalle, senza voltarsi, in un luogo nel quale si presumeva di non dover più passare pronunciando, contestualmente al lancio, la seguente formula: Humente non torro a bier hustu juncu non torre a bier sos tipórios mios, “come non vedrò più questo giunco, voglia il cielo che, alla stessa manierà, non veda più i miei porri”.

 

Un’altra metodica di autoterapia consisteva nel prendere tanti grani di sale grosso quanti erano i porri e nel buttarli dentro un forno incandescente avendo cura di scappare prima di sentire lo scoppiettio provocato dal contatto del sale col calore.

 

L’euforbia e la scilla marittima erano due erbe usate per la terapia delle verruche. Il succo che fuoriusciva dalla rottura dello stelo dell’euforbia, su laturihu, veniva applicato sulla verruca una volta al giorno. Della scilla, s’aspridda, veniva invece usato il bulbo che veniva spaccato e applicato anch’esso una volta al giorno . Veniva anche utilizzato il succo, su late,  che fuorusciva dalla rottura delle foglie di fico.  Le secrezioni di queste piante hanno in comune la caratteristica di essere particolarmente irritanti. Sembra che questi sistemi fossero particolarmente efficaci.

 

Da molti anni si sa che le verruche sono causate da virus del gruppo PAPOVA (acronimo di PApilloma-POlioma-VAcuolizzazione) e vanno classificate come malattie infettive trasmissibili, mentre le pellicine periungueali non sono altro che l’esito di traumatismi minimi della punta delle dita.

 

Alla luce delle conoscenze odierne qualcuno potrebbe sorridere pensando alle credenze che i nostri antenati avevano fino a ridosso del terzo millennio e in pieno progresso scientifico supertecnologico su queste malattie cutanee che fanno parte della patologia dermatologica minore nonostante siano molto diffuse. È vero che le credenze dei grandi, sos mannos, sulla eziologia di queste malattie poteva sfiorare la puerilità ma è altrettanto vero che la terapia risultava molto efficace.

 

La spiegazione di questo la si trova in un famoso trattato di dermatologia (Monacelli M.-Nazzaro P., 1967) nel quale, a proposito della terapia delle verruche, si può leggere: “È ammessa oggi la possibilità che le verruche porro, specialmente nelle forme giovanili, possano scomparire mediante terapia suggestiva (applicazione di coloranti, polveri inerti, creme varie)”.