A Nuoro: pistiddori

Nel Logudoro: pìtiga-pìtiga

A Isili: ociau

A Luras: boltiula

A Ghilarza: ortigada, ortiga

A Tempio: ultica

Nel Campidano: pitziadroxiu, pitzianti

A Sassari: urtìgura, urtziau, ultima.

 

 

 

Che meravigliosa pianta! Descriverla è un vero piacere, perché a dispetto di tutto ciò che si fa per evitare di toccarla per non pungersi, è una generosa e ricca miniera vegetale. Il suo utilizzo è basato sull’esperienza di generazioni e generazioni che ne hanno constatato la reale efficacia.

 

“Ti riconosco, disse il culo all’ortica”: così suona un proverbio poco noto e, in effetti, chi in un modo o nell’altro ha avuto a che fare con le fastidiose punture della pianta non avrà difficoltà a riconoscerla. Si usa anche dire che quando una cosa è divenuta inutile viene gettata alle ortiche, come se fossero piante inutili e insignificanti! Bisognerebbe, al contrario, conoscerle e soprattutto usarle di più, ridando loro il giusto spazio nel rapporto uomo-ambiente. Tutte le Urticacee sono piante gregarie in stretta convivenza con l’uomo, che seguono nei suoi spostamenti, e forse per questa loro costante presenza sono divenute usuali e trascurate.

 

Il nome deriva da “urere = bruciare” in riferimento ai suoi peli urticanti. Osservandoli al microscopio si può notare che hanno un aculeo duro, a base di silice, collegato ad una vescichetta piena di liquido: quando tocchiamo la pianta il pelo si conficca nella pelle e la vescichetta svuota la sostanza urticante in cui è contenuta istamina, acetilcolina e acido formico.

 

Anche l’antica Scuola Medica Salernitana la considerava benefica per la salute dell’uomo. Era particolarmente utilizzata per fustigazioni, al fine di stimolare benefiche reazioni da parte dell’organismo (con un mazzo di ortica appena tagliata si batte leggermente l’articolazione affetta da un processo infiammatorio o reumatico, – ginocchio, spalla, ecc –; questo produce un effetto revulsivo per il quale il sangue viene attratto in superficie decongestionando i tessuti interni). Sembra che i risultati siano eccellenti!

 

Habitat: cresce spontanea un po’ dappertutto: lungo le strade, fossi, siepi, macerie, campi incolti. È diffusa in tutta Europa.

 

Parte impiegata: tutta la pianta giovane, specialmente le foglie.

 

Tempo di raccolta: i giovani getti freschi sono i migliori in cucina in quanto più teneri e anche in campo medico, perché il loro potere curativo è al massimo: il momento migliore per raccoglierli è dopo la pioggia o al mattino presto. Il periodo più adatto è la primavera (quando conviene farne provvista per l’inverno), o l’autunno quando crescono i nuovi getti. Le radici si raccolgono in autunno.

 

Conservazione: si fanno essiccare all’ombra e si conservano in scatole di latta o cartone o in sacchetti di tela. Una volta secche le foglie perdono il loro potere irritante.

 

Componenti principali: Flavonoidi (rutina, quercitina), Carotenoidi (beta-carotene, xantofille, licopene), Amine (istamina, acetidilcolina, serotonina), tracce di Olio Essenziale, Vitamine (B2, C, K, A, E, Acido Folico, Ac. Pantotenico) Tannini, acido acetico, acido formico, acido glicolico, sali minerali (ferro, calcio, zolfo, silice, potassio, manganese, cloro, magnesio) e mucillagini.

 

Attività farmacologica: diuretica, depurativa, ricostituente, antigottosa, antireumatica, antiurica, emostatica, antianemica, demineralizzante, galattogena, ipoglicemizzante.

 

Indicazioni terapeutiche: anemia, gotta, reumatismi, acne giovanile, eczema atopico, pitiriasi, epistassi, mestruazioni abbondanti, scarsa secrezione di latte.

 

Usi e dosi: infuso (50 grammi di foglie fresche o essiccate in un litro d’acqua bollente, riposo 20 minuti). Decotto: far bollire per 5 minuti50 grammi di radice o pianta intera in un litro d’acqua. Far riposare per 15 minuti. Filtrare e bere durante la giornata, un po’ lontano dai pasti. Questo decotto viene anche utilizzato per il trattamento dell’ipertrofia prostatica; ciò è giustificato dalla presenza di steroli.

 

Tintura madre: 40 gocce 3 volte al giorno in poca acqua, lontano dai pasti.

 

Succo fresco: è il modo migliore di utilizzare l’ortica per sfruttarne le proprietà medicinali, soprattutto l’effetto depurativo. Si ottiene schiacciando le foglie o centrifugandole; generalmente se ne prende un bicchiere al mattino e uno a mezzogiorno, prima di pranzo.

 

Gargarismi: bollire per 20 minuti una manciata dell’intera pianta in mezzo litro d’acqua. Filtrare. Contro afte e infezioni dell’apparato boccale almeno tre-quattro volte al giorno.

 

 

La sua azione esterna è notoriamente e da sempre legata al cuoio capelluto, essendo antiseborroica, antiforfora e leggermente revulsiva.

 

Lozione per capelli: ortica e bardana in decotto (50 grammi di radice di entrambe, bollite per dieci minuti) da frizionare sulla testa per prevenire e curare la caduta dei capelli. Se poi si aggiunge anche un po’ di rosmarino si ha un valido aiuto per regolarizzare la cute dei capelli grassi.

 

 

Alimento importante, consumato da tempi immemorabili, nutriente e ricco in elementi metallici, stimolante dello stomaco, del fegato e del pancreas: influisce sulla formazione del sangue, facilita le reazioni del metabolismo cellulare ed è indicato per le persone anziane, per i debilitati e i convalescenti. Si cuoce la piantina tenera come si fa con gli spinaci, per minestre, risotti, frittate, ravioli, ecc… Ha un gusto leggermente acidulo, molto gradevole.

 

Questa pianta meriterebbe un posto d’onore nei nostri menu, soprattutto in primavera, prima che i suoi fusti si induriscano. Avete mai visto l’ortica cotta? È di un verde smagliante, il che dice subito che è ricchissima di clorofilla, sostanza importantissima alla vita, per isolare un grammo della quale occorsero, al primo ricercatore che vi riuscì, quattro quintali, appunto, di ortiche.

 

 

L’Urtica dioica e la urens possiedono le stesse proprietà fitoterapiche; si differenziano botanicamente in quanto la seconda (che è annuale) è più piccola sia nel fusto che nelle foglie e ha fiori maschili e femminili sulla stessa pianta. Un tempo l’Ortica veniva usata come materia prima tessile e utilizzata per corde e reti, grazie al suo stelo molto ricco di fibre, inoltre è un ottimo colorante per i tessuti delicati quali la lana: l’intera pianta bollita in decotto, unito ad allume di potassio, dà un bel verde giallo, mescolato a solfato di ferro dà un grigio verde.

 

Secondo il metodo biodinamico in agricoltura, l’infusione di ortiche è un ottimo fertilizzante che favorisce e regolarizza la crescita dei vegetali. Il pomodoro e le piante aromatiche vengono stimolate dalla presenza dell’ortica. Babbo Bruno aveva una parte del giardino di Montricos destinata alle ortiche, che usava come concime e antiparassitario naturale, oltre che come ingrediente per una gustosissima minestra. Ogni tanto, mi spiegava, rimuoveva la terra delle ortiche e la usava per piantarci le verdure, perché l’ortica è il miglior contadino della natura: lavora la terra, arricchendola di sostanze nutrienti. È anche un’ottima pianta foraggera per gli animali: l’infuso, somministrato al bestiame, lo disseta e aumenta la produzione del latte.  Lo stesso infuso, impastato con la semola del grano quale pastone, è utilizzato per stimolare ed aumentare la produzione di uova delle galline.

 

Che dire poi del grande aiuto insetticida che ci dà? Facendo macerare per circa 12 ore in acqua le sue foglie si ottiene un ottimo aficida che, nebulizzato sulle foglie delle piante infestate, elimina questi noiosi parassiti. L’uso e il consumo di questa pianta non rappresenta la panacea per tutti i mali, ma usata con buon senso, conoscenza, esperienza e serietà sarà un valido aiuto ai nostri disturbi quotidiani.

 

Imparare nuovamente a seguire le tradizioni non è segno di arretratezza o di non emancipazione. Prendiamo quello che di positivo ci dà la moderna scienza medica, uniamolo alla saggezza dei rimedi antichi e faremo quanto di meglio si possa fare per la salute del nostro corpo e dell’ambiente che ci circonda.