A Nuoro e nel logudoro: gheniperu, ghiniperu mascru (J.oxicedrus), ghiniperu femina   (J.foenicea)

Nel Sassarese: Nìbaru, Nìparu, Innìpari

Nel Campidano: Zinnibiru, Zinnibaru, Zinnibiri eru

In Gallura: Ajacciu (il toponimo della cittadina corsa di Ajaccio deriva dal detto nome del ginepro)

 

 

È una pianta presente nelle zone costiere, nelle dune, nelle zone sabbiose, nelle aree del Gennargentu e in quelle calcaree di tutta la Sardegna. L’antico Dottore in veterinaria tziu Luisi Farina che ben conosceva tutti i tipi di ginepro, tra le altre curiose notizie su questa pianta ci spiegò che i Romani chiamarono “flumen cedrus” il nostro fiume Cedrino, che si versa su Orosei, perché lungo il suo decorso crescono molti ginepri, che i romani ritenevano uguali ai cedri.

 

Chi ha avuto l’occasione di fare escursioni e scampagnate nella valle di Lanaitto e nel Supramonte di Orgosolo ha visto senz’altro alberi e arbusti di G. oxicedrus, pianta longeva e molto resistente alle intemperie tanto da essere utilizzata per la costruzione de su pinnetu e de sos cuiles, capanne che servivano come ricovero per il bestiame e per i pastori; i tronchi più grossi e dritti si utilizzavano per le travi delle abitazioni.

 

In territorio di Oliena, nella zona bassa tra Su Gologone e Monte Uddè è presente la varietà Phoenicea o Sabina marittima.Tra le numerose specie di ginepro, quella più diffusa e che viene usata nella Farmacopea Ufficiale è il Communis, un albero sempreverde di aspetto molto variabile. Infatti, in pianura si presenta come un alberello sino ai cinque-sei metri d’altezza, in montagna assume forma cespugliosa, ad alta quota e in zone particolarmente ventose si riduce ad un arbusto prostrato.

 

Cresce nei luoghi incolti dal mare fino alla montagna, si adatta facilmente ai terreni aridi, ventosi, rocciosi, assolati e inospitali, indifferentemente dal substrato. Le sue foglie sono aghiformi, appuntite e pungenti e i suoi frutti sono delle bacche, chiamate anche coccole o galbuli, di colore verde il primo anno, ma che assumono il caratteristico colore nero-bluastro solamente nel secondo anno di vita, quando giungono a maturazione. Le raccoglieremo in autunno scegliendo le più mature, lucenti, nere e polpose. In generale più crescono a sud più olio essenziale contengono e più l’aroma è forte.

 

L’utilizzo del ginepro nella medicina popolare è antichissimo. Nel libro dei rimedi dell’antica medicina egiziana si legge questa ricetta: “Per guarire l’infiammazione degli occhi farai macinare bacche di ginepro di Byblos, le farai stemperare nell’acqua e applicare negli occhi del malato ed egli guarirà“.

La conoscenza risale anche ai greci e ai romani che ne usavano per fumigazioni, cucina e medicina. Le bacche erano largamente impiegate come diuretico, depurativo, antireumatico, tonico e per questi motivi Catone il vecchio raccomandava l’uso di un vino in cui fossero messe a macero le bacche per almeno venti giorni. Ne parla abbondantemente anche il Mattioli, ricordando che i giovani germogli seccati e tagliati a piccoli pezzi, conservati in scatola chiusa, costituiscono un eccellente the. Le parti officinali sono le giovani sommità dei rami con le foglie, il legno con la scorza, ma soprattutto le bacche chiamate coccole o galbuli, di sapore prima dolce, poi amaro e acre.

 

 

Principi attivi contenuti nelle bacche: olio essenziale, terpeni e sesquiterpeni, monoterpeni, acidi diterpenici; tannini, flavonoidi, lecitine, zuccheri invertiti, miscela di amari (juniperina), vitamina C

 

L’azione balsamica, diuretica e diaforetica del ginepro lo rendono utile nella cura della gotta, nell’artrite e nei reumatismi.

 

Si può ricorrere in questi casi all’infuso, bevendone due tazzine al giorno. Ecco le dosi:

 

2 grammi di bacche schiacciate, 100 grammi d’acqua, un cucchiaino di miele. Fate l’infuso come al solito versando l’acqua bollente sulle bacche e lasciatele in infusione per 10 minuti. Filtrare e dolcificare col miele.

 

Se non si ha tempo o voglia di far l’infuso si può utilizzare la Tintura Madre in gocce:

 

35 gocce in poca acqua per tre volte al giorno.

 

Dal legno si ricava l’olio di Cade che viene usato, sotto forma di pomata, per curare la psoriasi, gli  herpes e gli eczemi.

 

Distillando i galbuli si ottiene un olio essenziale prezioso, di odore piacevole, sapore forte, balsamico e di una fresca nota aromatica che aiuterà i soggetti stanchi e un po’ debilitati a ritrovare il giusto equilibrio per affrontare la giornata e le vicissitudini quotidiane: due-tre gocce 2 volte al giorno, in un cucchiaino di miele, sono la dose ottimale.

 

Ma il ginepro non è soltanto un rimedio a tanti mali; può essere anche un buon liquore e, se qualcuno vuole cimentarsi, ecco la ricetta:

 

Liquore di ginepro: 120 bacche, 150 gr.di alcool a 95 gradi, 250 gr. di zucchero, 3 gr. di semi di anice, 1 cannella, 140 gr. di acqua. Pestare le bacche e lasciarle a macero per 10 giorni con anice, cannella, alcool e acqua. Filtrare, imbottigliare ed aggiungere lo zucchero. Il liquore sarà pronto non appena lo zucchero si sarà sciolto. È ottimo sia come aperitivo che come digestivo.

 

Le bacche sono usate spesso in cucina: il sapore aromatico e resinoso viene utilizzato per condire la carne suina, bovina e della selvaggina, nel pesce, nei ripieni, nelle patate e nelle salse. Il sapore combina molto bene con l’aglio e altre spezie aromatiche. E chi dimentica il famoso Gin ottenuto distillando le bacche di questo meraviglioso e utile albero? Questa forte e alcolica bevanda ha una qualità poco conosciuta: combatte lo scorbuto, malattia dovuta all’insufficienza di vitamina C (per fortuna questo problema è ormai raro). I preparati a base di ginepro vanno usati con cautela perché in forti dosi e per tempi troppo lunghi possono dare fastidi all’apparato renale nei casi di persone con infiammazioni o calcoli. La consulenza di un esperto erborista potrà aiutare nella scelta delle dosi.

 

Se è vero che le essenze sono le parole delle piante, il raro parlare del ginepro rimanda a pensieri forti ed atavici, densi del nostro passato; il suo legno, che conserva intatta la fragranza dopo tantissimi anni, è duro e difficile da lavorare, è fantasioso e testardo. Ma regala, con le sue forme e i suoi profumi, un’immersione nelle emozioni più profonde e sincere della nostra terra.