mesinaUn sole cocente sorveglia un’ardita spedizione nel cuore verace della Barbagia, per testimoniare l’esistenza di un prodigio della botanica. Un fiore che, reciso dal suo ambiente naturale, ha saputo produrre autonomamente la propria linfa vitale.

 

Vengo accolta in casa Mesina con estrema affabilità. Giuseppa piena di attenzioni nei miei confronti quasi da dimenticare la mia condizione, a mezz’aria tra il turista e il ficcanaso, si muove con spontaneità, elargendo gentilezza. Ben lungi dalla cineseria di chi si rapporta con educata sufficienza. Cerco di trattenere gli sguardi, mal celatamente curiosi, con l’ansia di sfuggire a quelle artificiose strategie che tendono a far sentire l’interlocutore un fenomeno da baraccone.

 

Graziano entra nella stanza, elegantissimo nel suo completo di lino bianco. Il dardeggiare di quegli occhi investigativi cattura l’immagine del mio iniziale disagio che lo porta a profondersi in uno stillicidio di battute di spirito. Il ghiaccio è rotto. Il nostro lungo colloquio prende così le mosse dal suo saporito umorismo vissuto, specie nei lunghi anni di reclusione, come autentica missione umanitaria. Da vero antropologo autodidatta egli sottolinea in continuazione come la matrice comune ad ogni rapporto col prossimo sia sempre stata una profonda attenzione, in particolare verso i più fragili.

 

Si è detto tanto circa la sua ricerca di una giustizia parallela. Si è detto troppo in modalità e tempi, in più di un caso, non autorizzati. Ciò che serve in questo momento è riconoscere che le scienze umane considerino ogni aspetto dell’individuo rispondente ad un preciso moto circolare.

 

Per delineare la globalità della persona, mente ed emozione hanno bisogno di un vicendevole soccorso. Ne consegue che un affidabile timone per navigare nelle acque della nostra contraddittoria società sia analizzare, a fondo e costantemente, cause e rimedi alle lacerazioni del tessuto sociale. In quest’analisi, forse pindarica, è stato illuminante l’ausilio di Graziano. Mesina conduce una lettura parallela della morfologia sociale di un passato non troppo remoto e delle problematiche che pervadono invece la società di oggi.

 

Quando avverte i fenomeni sismici di una talvolta claudicante società odierna, tendenzialmente, a cosa li attribuisce?

 

Li attribuisco ad una tendenza generale della società, che valorizza ed incentiva l’individualismo nei comportamenti.

 

Un ermetismo prudente…

 

Un ermetismo che protegge nel bene e isola nel male. Tutto questo porta ad una minor disponibilità alla solidarietà.

 

Questo atteggiamento, con l’andare del tempo, in che cosa rischia di tradursi?

 

Già ora si avverte una forte componente di competitività in ogni scelta dell’uomo. È evidente una corsa all’autoaffermazione. Questa condizione è paradossale perché le incipienti pressioni sociali ed economiche di oggi suggerirebbero un aumento della attenzione verso gli altri. La realtà è la quasi totale assenza di disponibilità.

 

Ieri avvertiva una maggiore collaborazione?

 

Ieri le problematiche erano veramente diverse. Il fatto di iniziare a lavorare in tenera età ti allontanava dagli studi e dalla prospettiva di un futuro più roseo. Ogni giorno di quella vita ti temprava fisicamente e psicologicamente. Affrontavi tutti i disagi. Imparavi a riflettere e a dare più valore alla tua esistenza, cercando un futuro migliore, una condizione diversa da quella che ti dava poco e toglieva tanto. La scarsità di alternative innescava un circuito di sbagli. Se fossi nato in un contesto sociale diverso non sarei diventato un bandito. Avrei studiato e oggi sarei, ad esempio, un medico.

 

È facile però riconoscere un comune denominatore che affligge la società, ieri come oggi…

 

Sicuramente la carenza di lavoro è fonte di drammatici disagi. Però, vede, ha valenze decisamente diverse al di là del risvolto economico. Ieri un impiego fisso poteva evitare di cadere in quelle trappole che originavano reazioni a catena interminabili. Si partiva dall’abigeato che generava, inevitabilmente, una vendetta la quale a sua volta alimentava la faida. Perciò il passaggio dalla scarsità di offerte alla disoccupazione e all’emarginazione era la matrice di un vagare continuo. Un andare da un bar all’altro senza scopo. Ecco, pensavo, è così che scoppia la rabbia.

 

Oggi?

 

I genitori di oggi, cresciuti in un Paese industrializzato, rispetto ai loro padri e alle loro madri devono barcamenarsi in un mare magnum di proposte equivalentemente interessanti. Il lavoro oggi è anche un modo di esprimere la propria persona. Sia nel caso in cui una coppia sia costretta a fare più lavori per sbarcare il lunario, sia in caso di carrierismo, i genitori hanno bisogno di supporti e consigli per aiutare i loro bambini ad acquisire le essenziali capacità umane. Questo può avvenire sia in termini d’affetto che con una specie di alfabetizzazione emozionale, sui banchi di scuola, tra le altre materie.

 

In altre parole la soluzione, per lei, sarebbe investire sul capitale umano?

 

Come no? Le dirò di più, in carcere compiere un lungo lavoro su me stesso è stato quanto di più difficile ed importante abbia dovuto fare. Ho conquistato maggiore autocontrollo e capacità di gestire la collera, ad esempio.

 

Il carcere sarebbe un rimedio efficace nel correggere gli errori dell’individuo?

 

No, nella maniera più assoluta. Ho visto tanta gente rovinata dal carcere. Famiglie distrutte. Piccoli risparmi gettati al vento per pagare le spese. Tanti non si sono più risollevati. Non ho mai visto nessuno recuperato dal carcere. Non capisco quegli ex carcerati che hanno una fiducia incondizionata nella giustizia. Forse è un modo di dare un senso a ciò che hanno subito. Ricordo detenuti ammazzati di botte. Altri morti suicidi. Altri ancora legati ad un letto di contenzione.

 

 

Un sistema che prevedeva il sopravvivere del più adatto?

 

L’infinita varietà della vita può essere disposta in una serie continua di cui ogni anello si distingue, ma si accomoda con l’anello che segue. In altre parole l’unica risposta a ogni difficoltà, anche se è una considerazione quasi banale, è la solidarietà.

 

A un certo punto la sua mente si è messa in moto verso la padronanza di un nuovo mondo circostante?

 

Niente di così ponderato, in realtà. Continuava ad emergere una ribellione ad una giustizia mal veicolata, che non guida l’individuo ma lo domina.

 

Come se la giustizia costruisse ed il giudice ostruisse?

 

Esattamente, questo avviene in un’ottica in cui la giustizia non è intesa come servizio.

 

Il suo percorso è stato la ricerca di una giustizia parallela, quasi personale?

 

Io amo la giustizia. Ho sempre avuto il senso della giustizia già da bambino. Da questo nasce il mio forte senso di ribellione alle angherie, a qualsiasi livello. Ho sbagliato. Ho sbagliato tanto e non ho mai voluto sottrarmi al mio debito con la giustizia. Quel che difficilmente ho sopportato sono i cattivi veicoli della giustizia. L’errore umano è previsto anche in questi casi. Perseverare nell’errore corrisponde al volersi accanire per motivi ideologici. Fortunatamente ho incontrato anche giudici moralmente integri: si attenevano alle carte ed ai fatti, come sarebbe sufficiente fare.

 

Parla come se chi la giudicava svolgesse un normale impiego d’ufficio.

 

Sì perché c’era spesso tanta approssimazione nel giudizio. Ci si fissava un obiettivo: condannare. Senza considerare che nel caso di condanna di un innocente avrebbero scontato una pena ingiusta anche tutti i suoi affetti.

 

Quali reazioni immediate suscitava in lei lo scandalo per questo errore umano?

 

Anzitutto l’evasione, certamente, che scatenava ulteriori sentimenti di ostilità verso la categoria dei benpensanti, per così dire. Mi veniva data la caccia come ad un safari in Kenia e dovevo esser giudicato da chi aveva commesso ogni genere di nefandezza.

 

A livello emotivo?

 

Alcune esperienze sono stampate con un inchiostro indelebile, altre sono scritte come gesso sulla lavagna. In entrambi i casi la forte motivazione personale, l’attenzione agli altri, la solidarietà sono la forza motrice di ogni reazione positiva e costruttiva. Ma anche un atteggiamento che mi ha causato numerose rogne.

Mi aiuti a capire meglio.

 

Ho da sempre avuto una grande capacità di empatia. Non bisogna essere dei super uomini per individuare i vari tipi umani, e curarmi degli altri mi aiutava a creare un clima di cooperazione e a stabilire legami. Le persone più fragili, spesso vittime di abusi e a cui giocoforza tributavo più attenzioni mi eleggevano tacitamente loro guida carismatica. Questo preoccupava i piani alti. In più di un’occasione, se avessi chiesto qualsiasi cosa per me l’avrei ottenuta, tanta era la smania di tenermi buono. Mi sentivo però in dovere di difendere queste persone, e sempre per un senso di giustizia, non ho mai chiesto niente più di quanto mi spettasse.

 

Ha incontrato delle persone disposte a collaborare contro l’abusivismo?

 

Ho incontrato delle persone fantastiche, in molti casi, ma giustamente prevalevano dei calcoli come l’imminente termine della pena. Altri avrebbero rovinato anni e anni di buona condotta, senza, tra l’altro, ottenere niente, in un clima di anarchia e di totale assenza di dialogo, persino col personale di custodia.

È cambiato qualcosa in questo ambiente col passare del tempo?

 

Sì, la vita in carcere è decisamente diversa da trent’anni fa. È meno dura. Ci sono più permessi. I colloqui sono più frequenti. Ma ancora non credo nella funzione rieducativa del carcere. Il carcere è un infinito regresso.

 

Che mi dice sullo stato dello Stato?

 

C’è stato un tempo in cui molti hanno strumentalizzato il mio nome o certe situazioni in cui mi son trovato, per attutire certi conflitti sociali. Si usava il nome di Mesina per distrarre la gente. Ora c’è più chiarezza. Oggi tutti, democraticamente, hanno la possibilità di far politica. Ogni nostra scelta corrisponde a far politica. Non solo il governo della cosa pubblica. Politica è la ricerca di regole giuste in senso assoluto. Senza una regola giusta non ci si evolve come uomini e conseguentemente come società.

 

Che ruolo ha l’arte nella sua vita?

 

Ma mia idea di arte è legata alla musica, che per anni mi è mancata. Non ci concedevano neppure una radiolina, temendo che la manovrassimo creando chissà che diavoleria. Metto lo sport allo stesso livello della musica. Due elementi pedagogici fondamentali nella vita di una persona perché educano alla pazienza e alla disciplina per un grande risultato finale.

 

Crede in Dio?

 

Io, e Dio sono, non a caso, due parole molto simili. Credo nell’esigenza dell’uomo di avere un rifugio misterioso. Una mano che guida e una protezione nel momento del bisogno. Anche la solidarietà è un’espressione di religiosità per me.

 

Destino, fatalità: perché si diventava banditi? Perché Mesina è stato Mesina?

 

Fondamentalmente perché nessuno è artefice completamente del proprio destino. È stata la reazione ad una legge imperfetta, non equa. Oggi sarebbero stati diversi i canali con cui esprimere il disagio. Sicuramente il dialogo. La comunicazione è l’espressione privilegiata nella ricerca della libertà.

 

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Graziano maneggia modernissime tematiche di psicologia. Con proprietà si districa tra i concetti di intelligenza emotiva, psicologia auto motivazionale, e considerazioni sul training autogeno ai quali chissà in quante occasioni sarà ricorso in modo del tutto personale. Si affranca da un destino avverso modellando le proprie giornate alla presenza di amici, con iniziative benefiche e rapporti autentici. Dalle sue parole traspare, come per difendere la propria persona nella sua interezza, occorra possedere una miscela di raziocinio e passione, capacità di analisi e rispetto per il prossimo.