A Nuoro e nel Nuorese: frùschiu, vrùsciu (la pianta), mela ’e frùschiu (il frutto)

 

Nel Cagliaritano: piscialettu

 

Nel Logudoro: rùschiu, ruscu, sorighina

 

Nel Sassarese: spina sorighina, spinatopis

 

Ad Aggius: pugnirazzu

 

 

 

Quando descrivo alle persone la pianta del Rusco mi accorgo che alcuni hanno difficoltà ad identificarla. È curiosa poi l’esclamazione in coro: “Ah, ma è il Pungitopo!” Sì, ed è chiamata così perché i suoi fasci di rami spinosi, soprattutto quando erano secchi, avevano la funzione di tenere lontani i topi dai cibi e da ciò che non doveva essere toccato da questi famelici roditori. Ma  questo non è il motivo per cui questa bella e utilissima pianta è diventata celebre. La storia del Rusco ha radici lontane, già Teofrasto lo citava nel III secolo a. C., chiamandolo col nome greco che corrisponde al Myrtus silvestris, vista la sua somiglianza al mirto.

 

 

Il pungitopo è una pianta mediterranea che negli ultimi tempi ha ritrovato una particolare attenzione e utilizzo. È un  arbusto sempreverde, alto non più di un metro, che cresce spontaneo nei pendii asciutti e soleggiati. È provvisto di un rizoma lignificato da cui partono numerose radici, i fusti sono dritti alla base e molto ramificati in alto. Appartiene alla famiglia delle Liliaceae e alla sottofamiglia delle Asparageae. Con il notissimo asparago (asparagus officinalis) ha in comune il fatto che le foglie sono piccolissime, quasi squamiformi. Perciò sviluppa rami con aspetto di foglie, chiamati cladodi, terminanti all’apice con una spina molto acuminata. I frutti sono bacche rosse che contengono uno o due semi.

 

 

Il nome latino, Ruscus aculeatus, si pensa derivi da rusticus, in quanto era molto usato dai contadini, e aculeatus per indicare le false foglie a forma di aculeo. Inizialmente il rusco venne utilizzato e apprezzato per le sue proprietà diuretiche, solo molto più tardi, attraverso studi approfonditi e sperimentazioni, se ne scoprirono le grandi qualità vasotoniche. A dire il vero questo arbusto sempreverde acquistò importanza quando due ricercatori francesi, Lapin e Sannie, riuscirono ad isolare dai rizomi una miscela di due saponine che denominarono ruscogenina e neoruscogenina che agiscono come antiflogistici e vasocostrittori, quindi anche antiemorragici. L’effetto si evidenzia particolarmente sul sistema venoso, così che il pungitopo può anche essere definito pianta per la terapia delle vene. Riassumiamo le proprietà di questo beneficio della natura.

 

 

 

 

 

Parte impiegata

 

Il rizoma, che si raccoglie in autunno; quelli più grossi vanno tagliati in pezzi e divisi in due per lungo, prima di farli essiccare.

 

 

Componenti principali

 

-saponine steroidi che: ruscogenina, neoruscogenina

 

-un olio essenziale, resina, sali di potassio e di calcio.

 

 

Azione farmacologica

 

-diuretica, vasoprotettrice venosa, antiedematosa, antinfiammatoria, antigottosa, antiartritica, litontritica, sedativa delle vie urinarie.

 

 

Indicazioni terapeutiche

 

– edemi

 

– ritenzione idrica con oliguria

 

– varici e ulcere varicose

 

– emorroidi

 

– gotta

 

– uricemia

 

– postumi di flebiti

 

– calcolosi renale

 

– reumatismo articolare

 

 

Usi e dosi

 

– Decotto del rizoma un cucchiaio in 300 ml di acqua fredda. Bollire 5 minuti e dopo un quarto d’ora filtrare. Berne 2-3 volte al giorno, meglio se lontano dai pasti.

 

 

– Tintura Madre (da rizoma fresco) 40 gocce, in acqua buona, tre volte al giorno, sempre lontano dai pasti.

 

 

Uso esterno

 

sono molto utili le pomate e i gel a base di rusco insieme agli oli essenziali di cipresso e menta per lenire il prurito e il gonfiore  delle emorroidi e delle gambe.In cosmetologia, grazie alle proprietà lenitive, protettive, disarrossanti e rinfrescanti, il decotto risulta efficace per il trattamento delle pelli delicate facili agli arrossamenti.

 

 

 

Il rizoma del rusco faceva parte dello sciroppo delle cinque radici, portentoso diuretico assieme ad asparago, finocchio, prezzemolo e sedano, prescritto dai medici della famosa Scuola di Montpellier ai soggetti affetti da gotta e calcolosi renale. 

 

 

Sul Rusco ci sono tante notizie curiose  e belle testimonianze che ci confermano le ottime proprietà salutari di questa bella e colorata pianta nostrana, già conosciuta agli antichi medici erboristi. Ne cito solo una: il Mattioli, medico senese di grande fama, nel 1557, scriveva: “Le frondi e i frutti bevuti nel vino fanno orinare e provocano i mestrui; rompono le pietre della vescica e giovano alle distillazioni della orina: sanano il dolore del capo e il trabocco di fiele. Fa i medesimi effetti la decozione della radice bevuta nel vino. Mangionsi i suoi gamboncelli, quando sono freschi, in luogo d’asparagi, ma sono amari e fanno orinare”. Ecco spiegato anche il motivo per cui in molte zone della nostra isola  questa pianta viene chiamata  piscialettu!